Bambini e Coronavirus
Stavo pensando ai vostri bambini, ai nostri bambini: a quelli che conosco, che sono passati per lo studio, a quelli che mi piaceva osservare tra le corsie di un supermercato a buttare come in un gioco i prodotti dentro il carrello, quelli al tavolo di una pizzeria a chiedere il cellulare con finti capricci o a chiedere di scendere per andare a correre sfiorando i pazienti camerieri. Li osservo sempre, quando li vedo in giro per la città per manina o che saltano su e giù dal marciapiede magari canticchiando, o che saltano le righe o si preparano a gustare un gelato davanti alla vetrina intenti a decidere serissimi quale gusto scegliere come se poi non se ne potesse mangiare mai più un altro.
Penso ai bambini in spiaggia al mare, impegnati a costruire castelli dove farci giocare gli omini, a decorarli di conchiglie, a saltarci a piedi uniti per disfarli, a chiedere quanto manca per fare il bagno.
Penso ai bambini tra i banchi della chiesa che tutto a un tratto cantano fortissimo, in altri momenti si girano annoiati e giocano con la complicità dei signori del banco dietro, e penso a quelli sull’altare che si scambiano occhiate, fanno a gara per far scappare un sorriso o giocano con il vassoio incrociando la luce e creando fasci di luce colorata sulle colonne.
Sto pensando a quei bambini che “ basta quanti compiti… ma quanti giorni mancano alle vacanze… ma poi possiamo andare al parco giochi… ma io non voglio saltare l’allenamento… ma è già ora di andare a letto?!”
Ho pensato molto ai bambini in questi giorni di quarantena. Mi sono chiesta come ci sono entrati loro in questo nuovo corso di vita, passando dalle vacanze di carnevale, dai giorni delle maschere alle mascherine, dai giorni del “ ogni scherzo vale” a qualcosa di tanto serio, un virus che non conosciamo, IL VIRUS, invisibile come un cattivo personaggio dei fumetti, che viene da lontano e sembra non volersene andare più.
Qualcuno mi ha chiesto cosa bisogna dire a questi bambini, ho risposto che bisogna dire la verità, quella che possono capire, quella che non angoscia ma che spiega e da un senso a tutto. Però poi ho continuato a pensare a loro: a chiedermi chissà cos’avessero nel cuore nel veder i propri genitori a casa, quei genitori di solito sempre di corsa, “dai che siamo in ritardo… adesso no, dopo quando torniamo a casa. Torniamo a casa, ora ci sono (per chi non ha i genitori separati) entrambi a casa, che strano, e se io bambino li osservo bene, anche se non lo dicono, questi adulti che io conosco bene leggo un insieme di emozioni che li attraversano: sono contenti di rallentare, anche di fermarsi un pochino, ma sono disorientati: tutto questo tempo, non sono più abituati! Poi io bambino li vedo anche preoccupati e per tante cose, lo so che sono preoccupati per il lavoro, per le notizie che i telegiornali ci sparano addosso, per quei messaggi che ricevono su whatsapp dai loro amici. Sento che sono preoccupati per i nonni che non possiamo andare a trovare, per noi bambini che non andiamo a scuola e come faremo, cosa impareremo così, un anno perso, e per tutto quello che non si sa e che si sa.
Io immagino che davvero il loro piccolo cuore sia stato più volte confuso ma anche colmo d’incredibile soddisfazione. Chissà che felicità… me li vedevo già felici di poter conquistare due storie della buonanotte, a volte due favole e un massaggino alla schiena e ora i genitori per così tante ore a casa! La mattina al risveglio loro ci sono, tutti i pasti, pranzo e cena stiamo insieme, un sogno!
Li ho pensati i vostri bambini nei giochi del pomeriggio, nell’inventarsi qualcosa da fare, nella tentazione di allungare i tempi della televisione, del tablet, magari proprio perché è vero, mamma e papà sono a casa ma un po’ devono lavorare. Me li immagino anche annoiarsi, litigare con fratelli e sorelle perché s’intromettono, smontano, interrompono, requisiscono il gioco “perché è mio”, ma me li immagino anche assorti in pensieri che prima non potevano avere lo spazio, il tempo, di arrivare, di prendere corpo e di essere ascoltati, anche se riguardano quanta rabbia provo per quella sorella o fratello che tocca tutto che non mi lascia stare anche un po’ da solo, da sola.
In questi giorni, in cui sembra esserci un cielo dipinto con i loro pastelli, li immaginavo davanti alla luce di una finestra, a scoprire che le giornate si allungano, e accorgersi finalmente dell’arrivo inaspettato di quei giorni di sole tiepido, quando finalmente si possono mettere i pantaloni corti e le magliette, abbandonando quelle felpe che appena ti muovi ti fanno sudare…
Me li sono immaginati nelle loro case, sui balconi, negli androni dei palazzi, nei garage a tirare quattro calci, a fare i giri in bici nei cortili, a chi è fortunato a rotolarsi nell’erba dei loro giardini. Tutto questo pensare però mi ha suscitato anche un senso di malinconia, di mestizia, di solitudine. Così li ho immaginati ancora i vostri bambini, questa volta a non poter più pensare di aspettare di rivedere l’indomani l’amico o l’amica tra i banchi di scuola, quello con cui giocare vivacemente e intensamente tutto l’intervallo, li ho visti rassegnati a non aspettare di ritrovare i compagni di squadra i soliti giorni della settimana che proprio assumono un senso perché “il martedì c’è basket, il giovedì c’è Judo, il mercoledì faccio danza oppure vado in piscina, poi c’è il sabato che c’è la partita e se vado agli allenamenti sono convocato, altrimenti c’è la panchina”. Ecco, sembra che siano tutti in panchina ora, ad aspettare, tutto fermo, gli amici, i compagnetti di gioco, non li vedono, non li sentono più. Me li immagino a pensare e ricordare i giorni al parco, alla corsa per salire sulle giostre, ai giri in bicicletta. Ma ora non si può.
Poi, quasi subito, appena rimasti a casa hanno saputo che non si può più andare dai nonni, che questo virus è pericoloso soprattutto per loro, che loro, i bimbi invece sono più forti, non si ammalano ma possono portarlo ai nonni che se si ammalano è un problema molto serio, un’emergenza.
Allora io rifletto, e mi viene da dire che certo è di una crudeltà inumana questo virus, ma che immensa ingiustizia, lui nega e proibisce la possibilità degli abbracci, delle carezze, delle coccole più dolci che un bambino possa ricevere, perché le coccole sono coccole e son tutte preziose ma quelle dei nonni sono una cosa incomparabile, hanno il sapore della magia; persino la mano rugosa e ruvida di un nonno “tuttofare” è un’impronta d’amore nel loro cuore e nella loro mente che diventa tesoro inestimabile nei ricordi.
E poi tu virus mi fai già pensare nella mia acerba testa e nel mio ancora puro pensiero, che potrei fare del male io ai miei nonni, io posso essere responsabile della loro malattia, posso essere IL più grande pericolo per la loro vita! È assurdamente crudele, mortificante e fa proprio infuriare solo al pensiero.
Il pensiero…ecco proprio questo mi sto chiedendo da giorni: ci siamo preoccupati di spiegare cos’è questo Covid19, abbiamo spiegato loro perché bisogna stare in casa, non andare a scuola, ma abbiamo dedicato abbastanza tempo per capire cosa pensano quando sono a casa? Che cosa provano e come si sentono? Lo so, non è facile chiedere, a volte sfuggiamo i momenti difficili, perché ce ne sono già tanti, ma è doveroso provarci. Temo che diversamente, evitando, rischiamo di farci bastare che davvero siano felici di stare anche a casa, di dedicarsi a cose nuove, di avere finalmente il tempo per sperimentare momenti diversi. Lo so che tutti genitori sanno che ai loro figli manca la parte giocosa, d’interazione sociale, ma non possiamo mettere da una parte questa importante carenza perché è così e non possiamo farci nulla.
Qualcosa possiamo fare, credo che almeno dovremmo cercare di capire quanto questo sta pesando sul loro umore, sui loro pensieri. Potremmo provare a fare una cosa quando siamo con loro: nel gioco, o mentre asciughiamo loro i capelli dopo la doccia, seduti sul divano tra un cartone e l’altro, in cucina mentre mettiamo via i piatti; possiamo chiedere “ A cosa stai pensando? …Vedo dei pensieri che sono passati veloci sulla tua fronte, me ne racconti uno?… Senti io so che hai tante cose nel tuo cuore, c’è qualcosa che magari ti preoccupa, ti rende triste, c’è qualcosa che ti viene in mente e che quando arriva vorresti mandare via?… ”.
Credo che questo possa essere di aiuto anche per affrontare un’altra fase che spero, per tutti noi, arrivi presto: poter uscire, poter ricominciare. Questa seconda fase porterà con sé senz’altro dei cambiamenti: i genitori riprenderanno a lavorare, saranno meno presenti e ci sarà un nuovo cambio di abitudini (“mi ero appena abituato a te e ora sparisci di nuovo”), ma confido nella plasticità dei bambini e nelle loro risorse, si adatteranno, ciò che un po’ temo, è il pensiero che i bambini potrebbero essere, paradossalmente, combattuti tra la grande, legittima, voglia di uscire e la paura di esporsi. “Ma come mi avete detto che è pericoloso, che posso far ammalare i miei nonni e adesso esco di nuovo all’aria aperta, dove c’è questo virus trasparente… cosa posso toccare, dove posso andare, chi posso vedere?”.
Ecco riflettevo sul fatto che forse debbano essere preparati anche a questo: a ricominciare a uscire, aiutarli e prepararli all’impatto emotivo con il fuori, con il suo simile, con il coetaneo che è come me ma diverso da me. Ci sembrano così spensierati e ingenui ma non lo sono, non penso che basti aprire la porta e che per loro tutto torni come prima. Aiutiamoli, un passo davanti all’altro, prepariamoli, ma soprattutto abituiamoli a condividere i loro pensieri, che saranno in buona parte entusiasmanti, euforicamente vitali, ma potrebbero anche essere riflessioni di preoccupazione, dubbi, mal comprensioni. Certo questo è senz’altro un bel lavoro che richiede energia. Tanti Genitori pensano di non esserne capaci, di rimanere sguarniti di risposte. Può essere, non sempre c’è una risposta pronta, non è necessario sapere sempre cosa dire, si può rimandare: “ lasciami pensare”, oppure si può partire dalle loro di risposte, “ ma secondo te, tu cos hai pensato?”. È una grande opportunità che ci è stata offerta, in un momento terribile, ma è pur sempre un’opportunità da cogliere. È il seme della comunicazione con i vostri figli, un modello di partenza di quello che potrebbe essere un modo di confrontarsi con loro quando saranno più grandi, senza escludere le difficoltà che ci saranno ancora da adolescenti, ma sono certa che se non si gioca questa carta potrebbero essercene di più, anche se poi non lo sappiamo cosa sarà, cambiano loro e cambiamo noi, ma non più di tanto, se si guardano i figli adolescenti nei modi e nelle espressioni, riconosciamo gli stessi modi ed espressioni di quando erano alla Materna o alle Elementari.
Se si traccia questo sentiero, la sua terra battuta, se anche fosse ricoperta dalle erbe e rovi delle bordure, perché magari non percorso per un po’ di tempo, sarà riconoscibile, spostando i rovi si ritroverà facilmente e si potrà riprendere il cammino. Dott.ssa Cristina Albertini