“Quando mi portano un bambino […], io non so mai qual è la prima
domanda che gli farò. Lo guardo, lo saluto…e poi mi viene in mente la
prima domanda; scendo così al suo livello di comunicazione, con umiltà
[…], mentre in me c’ è uno sdoppiamento: un io che osserva e un io che
conversa […], a volte è un attimo, altre volte è un fatto sofferto, altre volte
ancora è una ricerca” (Bollea, 2003).
Ecco
alle porte il tanto sospirato quattro maggio, invocato da tutti, ma credo tanto
atteso e con diritto da quella fascia di persone, a mio parere, un po’
trascurate in questi due mesi: gli adolescenti. Mi sono proprio detta “ sono
sempre motivo di discussione, sempre nell’occhio del ciclone e per sessanta
giorni hanno assunto una leggerezza mai vista, quasi scomparsi”.
Spesso
il nostro atteggiamento di adulti è di giudicare velocemente, prima vi abbiamo delegati:
alla scuola, alla tv, ai social, allo sport, poi ci siamo lamentati perché non
ci parlate, accusandovi di essere egoisti di pensare solo a voi stessi. Invece personalmente
penso che proprio voi, abbiate dimostrato di essere più sensibili, civili e
responsabili di molti di noi. Non siete stati voi a riempire treni e a
percorrere tutto lo stivale, non siete stati voi ad accalcarvi sulle piste di
sci nei weekend a ridosso della quarantena, non voi a dire “ è poco più di
un’influenza…”. Si è parlato di voi come coloro che, nel vostro muovervi,
potevate portare danno agli anziani, ai nonni: forse perché sembrate sempre
insofferenti verso tutti e non ci mettete nulla a dare dei “vecchi” ai vostri
genitori, ma so anche bene che guai a chi vi tocca i vostri nonni, so bene la
paura che avete di perderli, e conosco il dolore di chi effettivamente li ha
persi. Mai mettereste a repentaglio la loro vita, sono gli unici cui rispondete
al telefono, con cui non vi spazientite se non sentono, se vi chiamano interrompendo
le vostre cose. A volte sono gli unici adulti con cui parlate volentieri. Da
piccoli vi abbiamo riempito le giornate di attività e quando piano piano avete
recuperato la vostra volontà e libertà di decidere vi abbiamo accusati di aver
abbandonato questo e quello, forse eravate solo stanchi che qualcuno
incasellasse di cose la vostra giornata… non vi abbiamo lasciato modo di
sperimentare la noia, le passeggiate fuori a cercare qualcuno con cui parlare, ritrovarsi
e quando vi abbiamo chiesto “dove vai?” non ci è bastato “fuori a fare un giro”,
ci deve essere un perché, mica si può uscire senza un perché. Però ora che anche
noi non possiamo uscire, ci inventiamo un perché, una scusa per uscire, ci
indigniamo per le restrizioni di non poter uscire neppure a far una
passeggiata.
Certo
noi adulti abbiamo temuto per voi, per quel mondo là fuori, diverso da quello
della nostra generazione e di quella dei nonni, liberi di girare, di non
rendere conto per delle ore, di poter sperimentare. Lo abbiamo fatto per voi,
per proteggervi e in qualche caso forse è servito ma certo per la vostra
indipendenza, per il vostro senso di costrizione, credo possa aver
rappresentato un ulteriore motivo di conflitto.
Mi sono chiesta più volte, come siete stati, voi che avete l’esigenza di ritrovarvi, confrontarvi, con l’amico/a come se fosse ossigeno per respirare, voi che avete bisogno della partecipazione al gruppo di coetanei, delle relazioni vere anche se complicate e a volte rischiose, indispensabili nel distacco dalla famiglia, per sentirvi individui compiuti. Come siete stati a non poter incontrare chi vi fa battere il cuore con un ritmo unico, che toglie il fiato e che vi fa sentire vivi come non mai? Mi chiedevo come potevate stare a non poter incrociare le vostre dita, battere i vostri palmi, abbracciarvi battendovi sulle spalle o stringendo forte a voi colei/colui che sa tutto di voi, che vi capisce senza parlare, che vi ascolta in qualunque momento, che accetta la vostra rabbia senza paura, a cui potete mostrare le vostre lacrime senza disagio? Vi è stato tolto, per un periodo lunghissimo, un valore che è la base della vostra trasformazione in persone consapevoli, vi è stata tolta la libertà, vi è stato chiesto di rinunciarvi e la maggior parte di voi l’ha fatto senza discussioni. Vi è stato chiesto di rinunciare all’uscire, alla possibilità di allontanarvi da quegli adulti che a volte sono invadenti, poco comprensivi, intolleranti, di rinunciare alla possibilità di prendere distanza, di evitare discussioni e incomprensioni. Siete dovuti rimanere a contatto con noi adulti a volte incoerenti, sempre pronti a chiedervi di staccarvi dal cellulare ma incapaci di non farci vedere sui social, impegnati in telefonate, a controllare le notifiche anche a tavola… Avete dovuto sentirci lamentare perché vi chiudevate in camera, perché non vi si vedeva mai, e forse non abbiamo fatto fatica a comprendere che era per voi essenziale ricavarvi uno spazio in cui poter pensare, senza interferenze, per potersi ritrovare e calmierare le emozioni e i turbamenti, per poterli stemperare prima di dover riapparire e per forza riavere a che fare con noi.
Ora
che vi abbiamo avuto in casa, vi abbiamo anche scoperti capaci di essere parte
della famiglia, ci avete chiesto di imparare a essere più autonomi, ci avete
affiancato in cucina, avete riscoperto di poter aiutare a sistemare garage,
cantine, imbiancare muri, insegnare qualche esercizio di ginnastica ai genitori
o ai fratelli, magari qualcuno non l’avrà fatto volontariamente, ma sono certa
che per altri casi è stato dato per scontato che non l’avreste fatto e invece
vi siete rivelati una sorpresa.
Vi
abbiamo insultato per il vostro tempo perso davanti ai computer, gli stessi
mezzi che poi ora ci hanno insegnato a usare meglio per lo Smart work, voi che avete
aiutato i professori a organizzare meglio le lezioni online e che avete
coinvolto compunti genitori a creare spiritosi filmati di famiglia da
condividere su canali social.
Finalmente,
senza gli spazi di fuga garantiti dai nostri frenetici ritmi lavorativi e dai
vostri impegni, abbiamo avuto l’occasione di cambiare il nostro sguardo che
guardava ma che non vedeva, forse all’inizio non è stato semplice ma penso che
sia stata una grande opportunità per noi adulti. Io penso che sia dura per voi
adolescenti passati dall’essere il bambino messia, l’idolo tanto atteso,
all’adolescente che ha perso i suoi primi fans, che non lo vedono più speciale,
anzi non lo riconoscono più, ora che vi state differenziando, che state scegliendo
di essere quello che vorreste essere, ecco che allora forse scegliete modi
diversi di farvi idolatrare, chiedendo Like e condivisioni, in una nuova forma
che ripaghi le vostre delusioni in un modo semplice, col rischio che però se ne
creino altre, che crediate di piacere per quell’immagine che date e non per
quello che siete, e siete tanto, infinitamente di più. Vi siete sentiti dire
che il vostro è un periodo di vita spensierata, da rimpiangere… forse non
abbiamo la percezione dell’infelicità, del vuoto cosmico, della crisi d’identità,
dell’inadeguatezza, del sentirsi soli, esclusi inutili e persi che purtroppo
per qualcuno di voi è sensazione concreta e realtà quotidiana.
Contemporaneamente abbiamo avuto la possibilità e per qualcuno la fortuna, di
renderci conto di come sapete essere ironici, a volte saggi, che sapete
consolare e rassicurare anche noi adulti, talvolta talmente in difficoltà da
rifugiarci nelle cucine a tenere le mani e la testa occupata a impastare pizze,
torte e progetti post coronavirus.
In
questo momento ancor di più vi accusiamo di essere instabili, di umore
altalenante, ma ancora una volta sbagliamo lettura: da parte vostra un
comportamento stabile sarebbe atipico e anormale. Normale è che vi comportiate
in modo incoerente e imprevedibile: amare e odiare, vergognarsi e apprezzare i
genitori, essere generosi e altruisti ma anche egocentrici. Una struttura adulta
richiede tempo per emergere: integrare parti di Se, corpo e mente, trovare uno specchio
in cui riflettersi, che accetti le vostre proiezioni, che non siano vissute
come rifiuto, richiede tempo e fatica. Ci sembrate procedere spediti e sicuri
verso il futuro, ma spesso i passi di crescita emotiva sono incerti, certe
volte avete bisogno di tornare un po’ indietro per rassicurarvi e controllare
“l’inquietante estraneo” che sta prendendo forma dentro di voi. Compito nostro dovrebbe essere quello di non
mostrarvi paura e disorientamento: “Se questo che sto diventando non fa paura a
te che mi conosci, non farà paura nemmeno a me”, mentre a volte siamo disorientati
e bloccati.
Nel
guardare avanti verso l’ignoto credo che a volte in voi ci sia paura di
perdersi o di dipendere o di provare la paura claustrofobica di essere
inglobati.
La
lotta emotiva urgente è nel presente e vi sottrae molta energia, non ce n’è
abbastanza per occuparsi di tutto, ecco perché forse non siete puntuali e
ordinati, difficile stare dietro a tutto… (anche se non dovrebbe essere per
sempre!)
Non
sempre noi adulti ci accorgiamo di quanto potete essere tristi, forse perché
pensiamo che non dovreste avere il diritto di esserlo, a volte vi facciamo
sentire sbagliati perché non siete felici e dovreste esserlo, non capiamo
perché dovreste soffrire solo per il fatto di essere giovani.
La scuola online per qualcuno di voi è stata
una perdita, vi manca la possibilità di confrontarvi con la classe, i ritmi e
le abitudini, per altri è stata una liberazione dalla sofferenza di non
sentirsi accettati dal gruppo, di avere un passo diverso e di arrancare per un
voto, per alcuni è stata la possibilità di evitare la sensazione di sentirsi
inadeguati. Per qualcuno poi la scuola
genera sofferenza, non sto parlando di fatica, che quella è necessaria, sto
parlando del fatto che forse non siete stati aiutati a essere consapevoli che quella
fatica siete in grado di compierla, che gli insuccessi non devono mai deludere
voi né nessun altro. Forse non avete trovato adulti, educatori autorevoli che
fossero una “base sicura” permettendovi di potervi fidare e affidare, che in
qualche modo vi hanno fatto capire che credevano in voi. Credo che spesso siate
alla ricerca di personalità e che sappiate riconoscerla negli adulti di
riferimento, anche se siete pronti a cogliere i nostri difetti, a volte siete irriverenti,
pronti a contestare gli insegnanti ma siete anche in grado di distinguere chi
dona qualcosa, chi distribuisce.
Quello
che si sente ripetere in più ambiti è che i ragazzi sono cambiati, non sono più
i ragazzi di una volta. Tutto vero, siete diversi dai ragazzi di ieri ma ciò
che forse si dice poco è che anche gli adulti di oggi sono diversi dagli adulti
di ieri. Diversi i genitori, gli insegnanti, le figure di riferimento, le
figure da affrontare, da smontare, di cui prendere qualche pezzo buono e farlo
proprio. Ci sembra di esservi più vicini ma forse non è abbastanza.
Da bambini
ci vedete come miti, come depositari del sapere, poi iniziate a vederci umani e
fallibili e questo non è un male, scoprite
che anche noi adulti, ormai completi, siamo imperfetti e che le nostre
competenze talvolta non sono altissime…Siete fatti di gesti della mente:
pensieri, parole, fantasia, e molti di voi hanno usato questo periodo per
scrivere testi o canzoni, siete fatti di gesti del corpo e molti hanno deciso
di usarlo per approcciare uno strumento, per allenarsi in casa, per dipingere
un quadro o creare progetti. Spesso vi abbiamo visto come apatici, ma se
percepite il disinteresse o uno sguardo di delusione su di voi, forse è inevitabile
che ci s’impantani per la paura di scontentare ancora, ci si arrabbia talmente
tanto da paralizzarsi, non ci si prova più. Sembrate anafettivi ma a ben vedere
per chiunque nella tristezza profonda si perde la capacità di amarsi e di
amare. In realtà credo sia solo una
difficoltà di descrivere, di parlare del vostro mondo interno. Preferite
ascoltare, fate fatica a trovare le parole per esprimere i vostri sentimenti in
una sorta di pudore che vi protegge, da noi adulti, forse temendo l’uso che
potremmo farne dell’essere a conoscenza di ciò che provate. Penso a chi non
vede l’ora di andare fuori ma anche a chi ha paura, a chi si sente spaesato,
disorientato, a chi già prima faticava a uscire, a trovare il suo posto là
fuori, chiusi in silenzi, senza chiedere qualcosa per se, arrangiandosi,
sentendosi trasparenti agli occhi di tutti, impegnati in battaglie interne che
non immaginiamo.
Mi
piacerebbe chiedervi cosa vorreste che facessimo noi adulti per “fare meglio”, vi
vorrei chiedere cosa vorreste sognare se poteste farlo, l’unica cosa che io
potrei dire è che non serve sempre parlare, che a volte vi basterebbe una
presenza silenziosa, uno sguardo più ampio che segue, mentre vi spostate e
giustamente prendete distanza.
Senza
irritarsi per quegli occhi che molto spesso sono bassi, che non incrociano i
nostri non sempre per disinteresse ma spesso per pudore, per disabitudine, allo
stesso tempo dovremmo guardare i vostri occhi che sfidano, che non abbassano lo
sguardo, perché sono certa che non volete il duello sempre, volete vedere se ci
siamo, se restiamo nonostante tutto.
A
chi esce sereno e a chi ha timore di farlo dico solo che è giusto provare paura
ma non dobbiamo lasciare che s’impossessi di noi, che opacizzi lo specchio che
rimanda la vostra immagine per colpa di un futuro certo insidioso ma che non
può toglierci la speranza, vi chiedo di dare ascolto alle vostre idee
strampalate e assurde ma vive e rigurgitanti di energia, quella che noi non
abbiamo e a volte vi sbarriamo. Attingete al vostro spirito, siete energia e
può essere un’energia bellissima che può cambiare il mondo e se non lo dovesse
cambiare non importa, può cambiare anche solo il senso di un giorno a qualcuno
ed è già una gran cosa.
Ai
vostri genitori chiedo di guardare i vostri piedi chiusi in scarpe slacciate e
non solo per fare in fretta ma per dare il segnale che non vi leghiamo, che
siete liberi… chiedo di ascoltare i vostri silenzi, di chiedere cosa vorreste
essere, di immaginarvi come ciò che vorreste essere perché questa energia passa
e si diffonde oltre le parole e arriva a voi in qualche modo e fa’. Chiedo di
ascoltare le vostre paure, la vostra tendenza ad abbandonare, il sentirsi soli
in mezzo a tanti, sentirsi diversi e volerlo essere.
Chiedo di non vedervi solo oggetti persecutori, provocatori, stanchi, annoiati, menzogneri, ma che c’è senz’altro dell’altro, di vedervi come persone impegnate in battaglie quotidiane e se lo siamo noi adulti con le nostre fatiche come potete non esserlo voi?
A
tutti gli adulti chiedo di fermarsi ad ascoltare e di farvi capire che volete comprendere,
chiedo di non chiedere solo di essere ascoltati ma di farlo come uno scambio, rassicurandovi,
abbandonando il “devi farlo”, tenendo saldo il “ puoi farlo e lo farò io per e
con te”.
Stavo pensando ai vostri bambini, ai nostri
bambini: a quelli che conosco, che sono passati per lo studio, a quelli che mi
piaceva osservare tra le corsie di un supermercato a buttare come in un gioco i
prodotti dentro il carrello, quelli al tavolo di una pizzeria a chiedere il
cellulare con finti capricci o a chiedere di scendere per andare a correre
sfiorando i pazienti camerieri. Li osservo sempre, quando li vedo in giro per
la città per manina o che saltano su e giù dal marciapiede magari
canticchiando, o che saltano le righe o si preparano a gustare un gelato
davanti alla vetrina intenti a decidere serissimi quale gusto scegliere come se
poi non se ne potesse mangiare mai più un altro.
Penso ai
bambini in spiaggia al mare, impegnati a costruire castelli dove farci giocare
gli omini, a decorarli di conchiglie, a saltarci a piedi uniti per disfarli, a
chiedere quanto manca per fare il bagno.
Penso ai bambini tra i banchi della chiesa che
tutto a un tratto cantano fortissimo, in altri momenti si girano annoiati e
giocano con la complicità dei signori del banco dietro, e penso a quelli
sull’altare che si scambiano occhiate, fanno a gara per far scappare un sorriso
o giocano con il vassoio incrociando la luce e creando fasci di luce colorata
sulle colonne.
Sto pensando a quei bambini che “ basta quanti
compiti… ma quanti giorni mancano alle vacanze… ma poi possiamo andare al
parco giochi… ma io non voglio saltare l’allenamento… ma è già ora di
andare a letto?!”
Ho pensato molto ai bambini in questi giorni di
quarantena. Mi sono chiesta come ci sono entrati loro in questo nuovo corso di
vita, passando dalle vacanze di carnevale, dai giorni delle maschere alle
mascherine, dai giorni del “ ogni scherzo vale” a qualcosa di tanto serio, un
virus che non conosciamo, IL VIRUS, invisibile come un cattivo personaggio dei
fumetti, che viene da lontano e sembra non volersene andare più.
Qualcuno mi ha chiesto cosa bisogna dire a
questi bambini, ho risposto che bisogna dire la verità, quella che possono
capire, quella che non angoscia ma che spiega e da un senso a tutto. Però poi
ho continuato a pensare a loro: a chiedermi chissà cos’avessero nel cuore nel
veder i propri genitori a casa, quei genitori di solito sempre di corsa, “dai
che siamo in ritardo… adesso no, dopo quando torniamo a casa. Torniamo a casa, ora
ci sono (per chi non ha i genitori separati) entrambi a casa, che strano, e se
io bambino li osservo bene, anche se non lo dicono, questi adulti che io
conosco bene leggo un insieme di emozioni che li attraversano: sono contenti di
rallentare, anche di fermarsi un pochino, ma sono disorientati: tutto questo
tempo, non sono più abituati! Poi io bambino li vedo anche preoccupati e per
tante cose, lo so che sono preoccupati per il lavoro, per le notizie che i
telegiornali ci sparano addosso, per quei messaggi che ricevono su whatsapp dai
loro amici. Sento che sono preoccupati per i nonni che non possiamo andare a
trovare, per noi bambini che non andiamo a scuola e come faremo, cosa
impareremo così, un anno perso, e per tutto quello che non si sa e che si sa.
Io immagino che davvero il loro piccolo cuore
sia stato più volte confuso ma anche colmo d’incredibile soddisfazione. Chissà
che felicità… me li vedevo già felici di poter conquistare due storie della
buonanotte, a volte due favole e un massaggino alla schiena e ora i genitori
per così tante ore a casa! La mattina al risveglio loro ci sono, tutti i pasti,
pranzo e cena stiamo insieme, un sogno!
Li ho pensati i vostri bambini nei giochi
del pomeriggio, nell’inventarsi qualcosa da fare, nella tentazione di allungare
i tempi della televisione, del tablet, magari proprio perché è vero, mamma e
papà sono a casa ma un po’ devono lavorare. Me li immagino anche annoiarsi,
litigare con fratelli e sorelle perché s’intromettono, smontano, interrompono,
requisiscono il gioco “perché è mio”, ma me li immagino anche assorti in pensieri
che prima non potevano avere lo spazio, il tempo, di arrivare, di prendere
corpo e di essere ascoltati, anche se riguardano quanta rabbia provo per quella
sorella o fratello che tocca tutto che non mi lascia stare anche un po’ da
solo, da sola.
In questi giorni, in cui sembra esserci un cielo
dipinto con i loro pastelli, li immaginavo davanti alla luce di una finestra, a
scoprire che le giornate si allungano, e accorgersi finalmente dell’arrivo
inaspettato di quei giorni di sole tiepido, quando finalmente si possono
mettere i pantaloni corti e le magliette, abbandonando quelle felpe che appena
ti muovi ti fanno sudare…
Me li sono immaginati nelle loro case, sui
balconi, negli androni dei palazzi, nei garage a tirare quattro calci, a fare i
giri in bici nei cortili, a chi è fortunato a rotolarsi nell’erba dei loro
giardini. Tutto questo pensare però mi ha suscitato anche un senso di
malinconia, di mestizia, di solitudine. Così li ho immaginati ancora i vostri
bambini, questa volta a non poter più pensare di aspettare di rivedere
l’indomani l’amico o l’amica tra i banchi di scuola, quello con cui giocare
vivacemente e intensamente tutto l’intervallo, li ho visti rassegnati a non
aspettare di ritrovare i compagni di squadra i soliti giorni della settimana
che proprio assumono un senso perché “il martedì c’è basket, il giovedì c’è
Judo, il mercoledì faccio danza oppure vado in piscina, poi c’è il sabato che
c’è la partita e se vado agli allenamenti sono convocato, altrimenti c’è la
panchina”. Ecco, sembra che siano tutti in panchina ora, ad aspettare, tutto
fermo, gli amici, i compagnetti di gioco, non li vedono, non li sentono più. Me
li immagino a pensare e ricordare i giorni al parco, alla corsa per salire
sulle giostre, ai giri in bicicletta. Ma ora non si può.
Poi, quasi subito, appena rimasti a casa
hanno saputo che non si può più andare dai nonni, che questo virus è pericoloso
soprattutto per loro, che loro, i bimbi invece sono più forti, non si ammalano
ma possono portarlo ai nonni che se si ammalano è un problema molto serio,
un’emergenza.
Allora io rifletto, e mi viene da dire che certo
è di una crudeltà inumana questo virus, ma che immensa ingiustizia, lui nega e
proibisce la possibilità degli abbracci, delle carezze, delle coccole più dolci
che un bambino possa ricevere, perché le coccole sono coccole e son tutte
preziose ma quelle dei nonni sono una cosa incomparabile, hanno il sapore della
magia; persino la mano rugosa e ruvida di un nonno “tuttofare” è un’impronta
d’amore nel loro cuore e nella loro mente che diventa tesoro inestimabile nei
ricordi.
E poi tu virus mi fai già pensare nella mia
acerba testa e nel mio ancora puro pensiero, che potrei fare del male io ai
miei nonni, io posso essere responsabile della loro malattia, posso essere IL
più grande pericolo per la loro vita! È assurdamente crudele, mortificante e fa
proprio infuriare solo al pensiero.
Il pensiero…ecco proprio questo mi sto chiedendo
da giorni: ci siamo preoccupati di spiegare cos’è questo Covid19, abbiamo
spiegato loro perché bisogna stare in casa, non andare a scuola, ma abbiamo
dedicato abbastanza tempo per capire cosa pensano quando sono a casa? Che cosa
provano e come si sentono? Lo so, non è facile chiedere, a volte sfuggiamo i
momenti difficili, perché ce ne sono già tanti, ma è doveroso provarci. Temo
che diversamente, evitando, rischiamo di farci bastare che davvero siano felici
di stare anche a casa, di dedicarsi a cose nuove, di avere finalmente il tempo
per sperimentare momenti diversi. Lo so che tutti genitori sanno che ai loro
figli manca la parte giocosa, d’interazione sociale, ma non possiamo mettere da
una parte questa importante carenza perché è così e non possiamo farci nulla.
Qualcosa possiamo fare, credo che almeno dovremmo
cercare di capire quanto questo sta pesando sul loro umore, sui loro pensieri. Potremmo provare a fare una cosa quando siamo
con loro: nel gioco, o mentre asciughiamo loro i capelli dopo la doccia, seduti
sul divano tra un cartone e l’altro, in cucina mentre mettiamo via i piatti;
possiamo chiedere “ A cosa stai pensando? …Vedo dei pensieri che sono passati
veloci sulla tua fronte, me ne racconti uno?… Senti io so che hai tante cose
nel tuo cuore, c’è qualcosa che magari ti preoccupa, ti rende triste, c’è
qualcosa che ti viene in mente e che quando arriva vorresti mandare via?… ”.
Credo che questo possa essere di aiuto anche per
affrontare un’altra fase che spero, per tutti noi, arrivi presto: poter uscire,
poter ricominciare. Questa seconda fase porterà con sé senz’altro dei
cambiamenti: i genitori riprenderanno a lavorare, saranno meno presenti e ci
sarà un nuovo cambio di abitudini (“mi ero appena abituato a te e ora sparisci
di nuovo”), ma confido nella plasticità dei bambini e nelle loro risorse, si adatteranno,
ciò che un po’ temo, è il pensiero che i bambini potrebbero essere, paradossalmente,
combattuti tra la grande, legittima, voglia di uscire e la paura di esporsi. “Ma
come mi avete detto che è pericoloso, che posso far ammalare i miei nonni e
adesso esco di nuovo all’aria aperta, dove c’è questo virus trasparente… cosa
posso toccare, dove posso andare, chi posso vedere?”.
Ecco riflettevo sul fatto che forse debbano
essere preparati anche a questo: a ricominciare a uscire, aiutarli e prepararli
all’impatto emotivo con il fuori, con il suo simile, con il coetaneo che è come
me ma diverso da me. Ci sembrano così spensierati e ingenui ma non lo sono, non
penso che basti aprire la porta e che per loro tutto torni come prima.
Aiutiamoli, un passo davanti all’altro, prepariamoli, ma soprattutto abituiamoli
a condividere i loro pensieri, che saranno in buona parte entusiasmanti,
euforicamente vitali, ma potrebbero anche essere riflessioni di preoccupazione,
dubbi, mal comprensioni. Certo questo è senz’altro un bel lavoro che richiede
energia. Tanti Genitori pensano di non esserne capaci, di rimanere sguarniti di
risposte. Può essere, non sempre c’è una risposta pronta, non è necessario
sapere sempre cosa dire, si può rimandare: “ lasciami pensare”, oppure si può
partire dalle loro di risposte, “ ma secondo te, tu cos hai pensato?”. È una
grande opportunità che ci è stata offerta, in un momento terribile, ma è pur
sempre un’opportunità da cogliere. È il seme della comunicazione con i vostri
figli, un modello di partenza di quello che potrebbe essere un modo di
confrontarsi con loro quando saranno più grandi, senza escludere le difficoltà che
ci saranno ancora da adolescenti, ma sono certa che se non si gioca questa
carta potrebbero essercene di più, anche se poi non lo sappiamo cosa sarà,
cambiano loro e cambiamo noi, ma non più di tanto, se si guardano i figli
adolescenti nei modi e nelle espressioni, riconosciamo gli stessi modi ed
espressioni di quando erano alla Materna o alle Elementari.
Se si
traccia questo sentiero, la sua terra battuta, se anche fosse ricoperta dalle
erbe e rovi delle bordure, perché magari non percorso per un po’ di tempo, sarà
riconoscibile, spostando i rovi si ritroverà facilmente e si potrà riprendere
il cammino.
Dott.ssa Cristina Albertini
PARLARE E ASCOLTARSI IN FAMIGLIA: LA
COMUNICAZIONE NELLA COPPIA E CON I FIGLI.
La
comunicazione nella coppia è un processo dinamico, non statico. Inizialmente è
preverbale, tutto accade attraverso l’occhio, come una regressione, come
l’inizio di qualunque relazione infondo, poi diventa verbale e quasi le parole
di uno e dell’altro si sovrappongono.
Col tempo si creano delle dinamiche di comunicazione, degli spazi e dei
modi che risentono dei codici acquisiti all’interno delle proprie famiglie di
origine. Tuttavia talvolta la comunicazione cambia e può emergere un malessere
che solitamente nasce da aspettative, disillusioni di desideri riposti
nell’altro, di bisogni non espressi. Ecco che allora il linguaggio cambia e gli
atteggiamenti si induriscono, per mantenere la propria posizione si giunge a
umiliare, svalorizzare, rimproverare, accusare e ferire l’altro con parole.
Talvolta è il linguaggio del corpo che parla: i silenzi, gli atteggiamenti
passivi, i bronci i sospiri, modalità passive , non comunicazione per sfuggire
al conflitto ma è una guerra fredda. Si rimanda sperando che le cose si
risolvano prima o poi da sole. Come ritrovare la comunicazione? Una risposta
sicura non c’è ma qualche tentativo va fatto altrimenti sarà comunque una
sconfitta.Intanto è importante pensare che ognuno di noi cambia e cresce anche
nella coppia. Chi abbiamo conosciuto può cambiare e noi dobbiamo cambiare con
lui, non possiamo pensare che i fatti della vita, il lavoro, i figli,
l’età non abbiano alcun effetto sul
carattere. Spesso sento dire “ma è cambiato/a, non era così prima…” Io penso
che sia un processo naturale, ma dobbiamo anche tener conto di: è lui /lei che
è cambiato o io avevo bisogno/ desiderio che fosse così e ora si è svelato
altro? Credo che per ritrovarsi ci si debba fermare, accantonando l’immagine
sgradevole che si è creata, tornando indietro a ciò che ci ha colpito, ci ha
fatto consegnare nelle mani dell’altro. Riprovare a parlare, spostando tutto
ciò che si è messo in mezzo ( figli, lavoro, famiglie di origine…), lasciarsi
venir fuori, dichiarare i propri bisogni, ciò che ci sembra di aver
perso,ascoltando e immedesimandosi nell’altro, vedere i suoi sbagli per capire
che potremmo farne anche noi.
Cosa certa è che se ci sono difficoltà di comunicazione nella coppia, gli
effetti pervasivi del
funzionamento di coppia sulla famiglia sono evidenti. L’infelicità si insinua
anche sotto la pelle dei figli. I genitori entrano in comunicazione con una modalità non
verbale, sguardi, non sguardi, presenza e assenza, contatto corporeo o distanza
e ciò getta le basi sulla comunicazione futura. Sarà l’esperienza con noi
genitori che condizionerà il suo modo di relazionarsi e di comunicare futuro.
All’inizio con un figlio non sono molte le difficoltà di comunicazione, qualche
volta di farsi ascoltare ma abbiamo il timone ancora ben saldo. Infondo la comunicazione
parte da ciò che infondiamo in loro. Ma si parte prima, anche quando le cose
vanno bene, noi insegniamo ai bambini ad ascoltare, aspettare e comprendere e
vedere il punto di vista degli altri. Con i bambini o parliamo troppo o non
parliamo. Comunicare con un bambino vuol dire parlare del suo mondo, di quello
che vede e ascoltare come lo interpreta, prestarsi all’ascolto e contenerlo,
diverso è la relazione con l’adolescente, già complicato perchè in fisiologica crisi
d’identificazione, lui sa di esistere ma non sa ancora chi è, chi diventerà. Inevitabilmente
si chiude, sfugge, deve avere tempo e spazio per Se, in questo distacco noi
leggiamo voglia di stare lontani da noi, di guadagnare libertà, ma c’è anche
sofferenza. Il bisogno di opporsi fortemente è pari al bisogno di essere
riaccolto, allo stesso tempo è necessario che la sua conflittualità esca e
trovi un capro espiatorio al di fuori di lui. E quello spesso sono i genitori.
Ha l’esigenza di essere rappresentato e contenuto nella mente degli altri. E
magari si trova davanti due adulti che sono spauriti, non lo riconoscono più,
disorientati non sanno più come parlargli.
Per l’adulto è difficile
riassettarsi ma è indispensabile accettare, occorre prenderlo quando c’è, non
lasciarlo sfuggire, altrimenti lo vedrà come un rifiuto da parte nostra. Ma si
può anche rimandare, si è autorevoli anche se si è flessibile al punto da
offrire al ragazzo la possibilità di essere ascoltato e accolto anche nel suo
bisogno di differenziarsi e autonomizzarsi; ma anche fermi, in grado di
contenere il tumulto dei suoi cambiamenti e conflitti interiori. Dobbiamo
essere noi adulti quelli adattabili. La troppa rigidità è vissuta come distanza
e come abbandono, in questo caso il ragazzo e il suo atteggiamento sarà di provocazione,
oppositività. E’ necessario prstarsi allo scontro ma anche contenere. Non è
facile restare in equilibrio davanti a un figlio che ti respinge, rifiuta
tutto, che già dallo sguardo può ferire. Il compito è arduo, e comunque si
sbaglia. Non fare l’errore di voler essere amici, di voler sapere tutto,
lasciargli una parte di sconosciuto, tutta loro è necessario, non cadere in
provocazione, non ferire intenzionalmente se si è stati feriti, non offendere
per vincere il confronto, non attaccare la dignità della persona, non cercare
il suo senso di colpa.A volte togliersi è uguale a mettersi. “Non me lo dire.
Domani se avrai voglia di dirmelo mi piacerà
ascoltarlo… Non porre l’attenzione sempre a cose che mancano o sono troppo
poco. Sogni e
aspirazioni di questi ultimi, anche molto semplici, restano inascoltati in una
quotidianità in cui ciascuno appare concentrato principalmente su se stesso e i
propri problemi. Infatti spesso dai discorsi dei genitori si coglie un profondo senso di affanno, di stanchezza, si
dichiarano provati, sfibrati, sfiniti. Cercano stabilità, la possibilità
di trovare uno specchio che rifletta anche le loro parti buone, anche quelle
che loro non riescono a vedere, perché immersi in molte situazioni che a loro
fanno paura, nell’incertezza del futuro… Se questo che sto diventando non fa paura a te che mi
conosci, non farà paura nemmeno a me.
Vi chiedo di ascoltare il loro silenzio e di far capire loro che volete capire cosa vorrebbero sognare se potessero farlo, vi chiedo di non chiedere solo di essere ascoltati ma di farlo come uno scambio, abbandonando il “devi” , tenendo saldo il “ puoi farlo e lo farò io per e con te”.
Adulti e Adolescenti: la fatica di ascoltarsi, comprendersi, accettarsi. Il bisogno di ascolto dei ragazzi, non è sinonimo di essere capiti. Il loro bisogno di allontanarsi dal nostro modello, diversificarsi e di “so-stare” perché possano attraverso prove e sbagli ritrovarsi.
convegno di formazione per dirigenti scolastici, insegnanti e genitori.
In questi anni si sono intercettati molti adolescenti italiani e stranieri che hanno portato al servizio i loro pensieri, le loro confidenze, i loro malesseri e disagi. Viene da chiedersi se l’adolescenza attuale manifesti caratteri ancora diversi dal passato. C’è qualche cosa di radicalmente mutato, nella società e nelle culture, da produrre la disgregazione dei legami familiari, dei cambiamenti culturali, la difficoltà di mantenere relazioni con gli adulti e tra i pari? L’ascolto diventa uno strumento potente per supportare le classi multiculturali, per i ragazzi in questa fase di passaggio, per i docenti nell’aiutarli a comprendere i disagi dei ragazzi, per tutti nell’agevolare processi comunicativi e favorire relazioni positive. L’azione di counseling, intrecciata con il lavoro di genitori e docenti, insieme agli interventi di contenimento, cura e prevenzione aiuta gli adolescenti in questa fase di transito. Riflettere sull’adolescenzae diffondere alle scuole le esperienze fatte nel progetto ci aiuta anche a prevedere insieme prospettive future.
La scuola Materna e asilo Integrato San Gaetano di Rizza VR organizza una serata il 12 aprile 2018 con la Dott.ssa Cristina Albertini dal titolo “Le emozioni e Le reazioni dei bambini: aiutiamoli a conoscerle e a gestirle”
Evento organizzato da prospettiva famiglia come scuola per genitori ed educatori, giovedì 08 marzo 2018 presso il Centro Civico Tommasoli alle ore 20,45. Relatore della serata la Dottoressa Cristina Albertini Neuropsichiatra Infantile. Scuola per genitori ed educatori di prospettiva famiglia, insieme alla rete di scuole ” scuola e territorio: educare insieme”, propone un significativo momento di condivisione e riflessione rivolto a genitori, educatori e giovani.
Evento organizzato da prospettiva famiglia come scuola per genitori ed educatori, giovedì 16 marzo 2017 presso il Centro Civico Tommasoli alle ore 20,45. Relatore della serata la Dottoressa Cristina Albertini Neuropsichiatra Infantile
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