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Lo sguardo dei genitori sugli adolescenti, tra Scuola e Libertà

Lo sguardo dei genitori sugli adolescenti, tra Scuola e Libertà

Incontri formativi per adolescenti e genitori

“Quando mi portano un bambino […], io non so mai qual è la prima domanda che gli farò. Lo guardo, lo saluto…e poi mi viene in mente la prima domanda; scendo così al suo livello di comunicazione, con umiltà […], mentre in me c’ è uno sdoppiamento: un io che osserva e un io che conversa […], a volte è un attimo, altre volte è un fatto sofferto, altre volte ancora è una ricerca” (Bollea, 2003).

Auguri ragazzi.

Auguri ragazzi.

Sono giorni che rifletto, riordino le idee, cerco di pensare alle informazioni che ho raccolto col mio lavoro, Con i miei incontri… Sono stati mesi faticosi, credo lo siano stati per tutti, lo ammetto mai come in quest’ultimo periodo mi sono confrontata con una sofferenza dalle molteplici sfaccettature ed è stato necessario mettere in campo tantissima energia, anche per chi non ne aveva più o pensava di non averne. A ottobre ho avuto poi la fortuna di incontrare alcune classi intere di voi ragazzi. Una professoressa mi ha chiesto se fossi stata disponibile a parlare nella sua scuola del Covid e dei suoi effetti; parlare dell’esperienza che avevo avuto durante il lockdown, le videochiamate e le telefonate con gli adolescenti, quello che avevo osservato durante l’estate e a settembre, un confronto sulle esperienze, sui vissuti, raccontando di ragazzi attraverso altri ragazzi. E’ stata una bellissima esperienza e come sempre succede nell’occasione in cui devo dare, ricevo in cambio tanto di più proprio da voi ragazzi. Ho chiesto ai ragazzi che ho incontrato, come avessero vissuto il loro Lockdown, tanti hanno dichiarato di averlo vissuto bene, per molti è stata l’opportunità per ritrovare altri ritmi per affrontare (o evitare) situazioni che generavano paura e preoccupazione: ad es. l’interrogazione davanti agli altri, non saper con chi stare durante l’intervallo, il non dover destreggiarsi tra impegni scolastici ed extrascolastici. Per altri ragazzi è stato un misto di noia, limitazione, blocco, per altri ancora è stato un tempo sospeso, sentivano di aver perso il proprio scopo, saltati i loro punti di appiglio, le abitudini che scandivano il tempo, la certezza di uno spazio di svago che ripagava i giorni di fatica, che restituiva loro energia. Mi hanno detto di aver avuto paura di ricominciare, paura di poter perdere gli amici, che nulla fosse più come prima, “se siamo riusciti a star lontani a far senza uno dell’altro, non avrà/avranno più bisogno di vedermi”. Molti hanno passato l’estate cercando di riprendersi quello che avevano perso, hanno ammesso che ciò che più è mancato è stata la fisicità, lo scambio d’affetto, la gestualità. Mi hanno spiegato che si sono preparati per il rientro a scuola, sentivano gravare una grande incognita ma pur tentando di conservare l’ottimismo giusto, questo non sempre è bastato e, in molti, il rientro (per certi anche prima durante l’estate) ha attivato un bagaglio di sintomi: ansia, attacchi di panico, insonnia, nausea e vomito, poca fiducia in se stessi, fatica ad andare a scuola pur avendo desiderio di andarci. Ho sentito tanta rabbia, ma anche tanta delusione, si sono sentiti presi in giro, hanno osservato gli adulti e ne hanno rilevato le incoerenze. Mi hanno espresso la fatica di poterne parlare ai genitori, di non sapere come fare e questo credo che sia molto importante: i ragazzi hanno voglia e bisogno di parlare ma non chiedono consigli o giudizi, chiedono di essere solo ascoltati.

La vostra sofferenza ragazzi è quella che fa più male, certo il dolore non si può misurare ma in voi ho potuto leggere un tormento composto di aspetti così diversi che si fatica a capire da che parte iniziare, non è semplice identificare il capo del filo in una matassa ingarbugliata. Rispetto allo scorso maggio, si parla un po’ di più di voi adolescenti. Se ne parla perché ci sono state le problematiche rispetto alla gestione della scuola, dei mezzi di trasporto, oppure perché forse ci si è finalmente accorti che avete dei bisogni che sono stati spazzati via, cancellati. So che siete arrabbiati, so che ciò che vi disturba di più è aver sperimentato a più riprese l’incoerenza dell’adulto. Certo è un modo strano questo di fare i conti con la perdita dell’adulto immaginario, quello di cui ci si può fidare, cui appoggiarsi, da cui avere protezione certa, quello che ha una soluzione giusta, che non sbaglia mai, ci si deve arrivare a questo ma non così.

 Questo periodo vi ha dato modo di vedere che gli adulti sono fallibili, tanto, anzi parecchio. Avete letto la nostra confusione, la nostra disorganizzazione, il nostro essere contraddittori. Avete capito che possiamo essere apparentemente illogici, sconnessi dalla realtà, tutte cose che si rinfacciano a voi, quando noi genitori e adulti vi chiediamo di essere concreti, di prendere decisioni, di essere responsabili… vi siete sentiti, come tutti noi, tenuti in sospeso nella necessità dei politici di dover prendere decisioni che accontentino tutti, o che non scontentino alcuni. Avete visto come a volte gli adulti sono costretti a decidere e a penalizzare qualcuno, a volte forse come tutti noi non avete capito, siete stati disorientati da scelte, comunicazioni contrastanti. Si parla in qualche articolo di voi e si comincia dire che il coronavirus inizia ad avere, anche su di voi, forti effetti. Forse è da prima di maggio che il virus ha incominciato a lasciare dei segni su di voi, ma voi siete stati forti, avete cercato di resistere con le vostre belle risorse e probabilmente ora siete così stanchi che credete di non averne più. Vi ho visto cercare di far fronte a questa guerra, accettare le rinunce, a non poche, quante rinunce! Vi ho visto prima, adattarvi agli orari, agli ingressi modificati, alle finestre aperte con i primi freddi, alle mascherine sul viso fisse, a non potersi parlare alla ricreazione come avreste voluto, a non poter fermarsi fuori di scuola per due parole, per un abbraccio. Vi ho visto rinunciare all’uscire il pomeriggio, a dover scegliere chi incontrare per stare dentro i numeri imposti, dover scegliere solo quattro amici e a sentirvi dire “allora niente”, vi ho visto dover rinunciare alla palestra, ai corsi di danza, al nuoto, allo sport, al ritrovarsi in piazza, alle uscite per una pizza, allo stare in casa a guardare anche un film, a stare attenti a rientrare di corsa… Vi ho sentito silenziosamente affranti, mi avete detto che vi è stato tolto tutto ciò che per voi rappresenta non solo un divertimento, una passione, ma anche la possibilità di poter scaricare la fatica, le tensioni e le angosce. Vi ho visto perdere la voglia di alzarvi, lavarvi il viso e vestirvi per partecipare alla lezione online, vi ho visto perdere il vostro ritmo del sonno, modificare l’appetito, perdere la voglia di fare, mi avete fatto capire che vi siete sentiti giorno dopo giorno sempre più inutili… C’è una rabbia muta, la delusione di non poter festeggiare un compleanno, non poter celebrare la patente, di non poter programmare e progettare l’ultimo dell’anno, c’è la paura che gli amici si allontanino, come se questo mare d’isolamento vi circondasse rendendovi isole galleggianti che si allontanano sempre di più… Vi ho visto spegnervi, ho visto estinguersi quell’eccitazione sana del passaggio da un ciclo all’altro degli studi, la voglia e il fermento di cambiare classe, inserirsi in un nuovo gruppo, poter provare a rimettersi in gioco con nuovi professori, nuove materie, avete avuto appena il tempo di conoscere la classe per poi ritrovarvi di nuovo chiusi in casa e quindi a non sapere su chi contare e per chi contiate qualcosa. Ho visto molti di voi stare fisicamente male e non riuscire ad attribuire un nome a questo malessere, spesso lo avete chiamato ansia, ma penso che accanto a questo ci sia molto di più; c’è la paura di essere gli unici a provare tutto ciò, di non poterlo spiegare come state, la volontà di non preoccupare i vostri genitori che magari vedete già impegnati in altri pensieri, già tesi per altri motivi… voi che avete bisogno di stabilità e coerenza da parte degli adulti vi siete trovati, come tutti noi, disorientati, spaesati, sgomenti davanti a messaggi a volte poco comprensibili, contraddittori, privi di buon senso. Avete smesso di ascoltare pareri che si accavallano, che confondono e non aiutano ad avere chiarezza. Così molti di voi sono stati criticati per essersi “rintanati” nelle vostre camere e vi siete scontrati con i vostri genitori per far capire loro che era una necessità, anziché una fuga, che è il vostro bisogno di ritrovare uno spazio integro, l’urgenza necessaria di creare quella distanza dai vostri genitori che vi permette di potervi individuare, di trovare il tempo e lo spazio per immaginare che individuo sarete. Vi ho visto scivolare nella noia e nell’apatia, spesso interpretati come un’ennesima prova di pigrizia, anche se non è sempre e solo così. Mi avete detto che vi sembra di perdere delle occasioni, di buttare via il tempo. Come vi dicevo lo so bene che non è facile, cerco di capirvi, di comprendere ma aldilà di annotare ciò che vi sta accadendo ho bisogno di dirvi qualcos’altro. Sicuramente vi siete già sentiti dire che non durerà per sempre, che tutto questo finirà. Lo so, non avere una data, una scadenza rende tutto più gravoso, però se posso vorrei suggerirvi un esercizio: iniziate a programmare, progettare anche senza una data. C’è un tempo per la tristezza, c’è un tempo per il lamento, c’è un tempo per la preoccupazione ma poi è necessario che tutto questo sia chiuso in un cassetto e si aprano altri cassetti. Come dico spesso a qualcuno di voi, avete una serie infinita di cassetti dentro di voi, nella vostra testa e nel vostro cuore, sono molto utili, come i cassetti di casa: qualche volta possiamo nasconderci delle cose, buttate dentro alla rinfusa, per creare un ordine esterno, come a volte facciamo quando arrivano ospiti e racchiudiamo tutto dentro i cassetti. Tuttavia in quei cassetti o in altri cassetti ci possiamo trovare anche cose che ci possono tornare utili, bisogna aprirli. Ora è il momento di aprire il cassetto della speranza, questa parola a volte può sembrare screditata, sembra che sperare sia uguale a non agire, ci s’immagina fermi a sperare che cambi qualcosa, io non penso a una speranza passiva ma a una speranza attiva. È vero non ci sarà un ultimo dell’anno di festa con gli amici, l’occasione di riunirsi, di festeggiare, di dare il benvenuto al nuovo anno; sarà un ultimo dell’anno in cui ci ritroveremo come quella volta che ci siamo ammalati proprio il giorno della partenza della gita, come quando c’è scoppiata la febbre o l’influenza intestinale qualche ora prima della fantastica festa dell’ultimo dell’anno, come quella volta che ci siamo rotti un tendine e non siamo potuti partire per la vacanza programmata per mesi con i nostri amici, oppure quando non siamo riusciti a preparare il passaporto in tempo… Quest’anno è quest’anno, non è tutta la vita, cominciate a pensare all’anno prossimo a ciò che potreste fare. I sogni ad occhi aperti non sono il patrimonio esclusivo delle bambine che vogliono diventare principesse, i sogni ad occhi aperti aiutano a diventare invincibili atlete, attori affermati, imprenditori capaci, medici coscienziosi ed empatici, genitori amorosi, ottime cuoche, gentili commessi …

Avete paura? E chi non ce l’ha? Abbiamo subito tutti un danno, ognuno il suo e voi uno più grande, ma chi ha subito un danno è pericoloso, perché non ha più paura, sa di poter sopravvivere, e voi sopravvivrete; con delle cicatrici in più, che resteranno nella mente e nel cuore, ma se vi prenderete cura della vostra ferita, sarà un segno che rimarrà a ricordo, come un tatuaggio, di quelli che vi fate per fermare un momento, per rendere omaggio a qualcosa, a qualcuno. Ebbene queste cicatrici possono essere un omaggio a quello che siete stati nel momento della difficoltà, a come avete resistito e reagito, e se non avete la forza di farlo subito, raccogliete le forze, parlate, dite quello che sentite, cercate e troverete qualcuno che è lì per ascoltarvi, c’è, credetemi. Abbandonate i “mai” e fate spazio ai “si può”, guardatevi allo specchio e strizzate l’occhio a quello che scorgete; dentro di voi c’è tanto di più di ciò che vedete, cercatelo, prendetevi il tempo, non potete trascurarvi. Mi rivolgo a voi genitori, ci sarà chi starà approfittando della situazione, chi con la DAD si porta a casa senza troppo sforzo l’anno, c’è chi s’impigrisce e non dà, ma c’è chi sta resistendo, chi si adatta, chi lo fa onestamente e con dignità, chi si sta perdendo e ha bisogno di poter esprimere il suo disorientamento, le incertezze e le paure. Forse noi adulti non abbiamo tutte le risposte, non abbiamo la bussola, ma possiamo sederci accanto a loro ad ascoltare, preparare un the caldo e guardarli negli occhi, sdraiarci con loro sul loro letto sfatto e guardare insieme con loro il soffitto della loro camera.

Cos’ è necessario fare? Non esistono ricette ma credo che sia importante ri-tentare, tentare, come a volte si fa senza sapere se andrà bene, e se non andrà come deve andare si riproverà, perché se una cosa non va, si disfa e si rifà, altrimenti non c’è storia. Quando un sogno non va in porto, è necessario poter credere che ce ne sarà un altro. Sperare e difendere i propri sogni ad ogni costo, riprovare, ma voi siete in grado di farlo, l’avete in voi la forza per fare e disfare per provare e riprovare, per fare un giorno quello che amerete fare, credetemi. Potete restare a lamentarvi oppure combattere.

Un grande poeta E.E.Cummings diceva: “Ogni volta che credi o che pensi o che sai, sei tante altre persone: ma nel momento in cui senti, non sei altro tranne che te stesso…Non essere altro che se stessi in un mondo che giorno e notte fa del suo meglio per renderti qualcun altro vuol dire combattere la più dura battaglia che ogni essere umano possa affrontare, senza smettere mai di battersi…”.

Allora posso solo dirvi che lo so che è difficile, che normale per voi sarebbe poter progettare, prendere impegni, immaginare viaggi, immaginare un lavoro, conquistare un amore.  Quest’anno sembra perso, sembra non aver portato che guai, niente di buono, vuoto, buio ma non è così. E’ come se vi foste preparati a una gara senza raggiungere l’obiettivo, come sperare di aver fatto bene un colloquio di lavoro ma poi non essere richiamati, come sperare di uscire con una persona che v’interessa e all’ultimo essere respinti. Quest’anno non è un vuoto a perdere e non lo siete voi, è un allenamento a possibili imprevisti imponderabili che potrete avere nella vostra vita, e voi arriverete pronti, forgiati, come un metallo, magari una lega impura, ma sarà ancora più resistente. Tutto quello che avreste voluto fare, sognatelo, preparatelo, siate voi stessi, fatevi sentire, anche con i vostri silenzi, c’è chi attorno a voi è pronto ad ascoltarvi, ad aiutarvi e a ripartire. Auguri ragazzi, di cuore.

Adolescenti, vi abbiamo sottovalutato.

Adolescenti, vi abbiamo sottovalutato.

Ecco alle porte il tanto sospirato quattro maggio, invocato da tutti, ma credo tanto atteso e con diritto da quella fascia di persone, a mio parere, un po’ trascurate in questi due mesi: gli adolescenti. Mi sono proprio detta “ sono sempre motivo di discussione, sempre nell’occhio del ciclone e per sessanta giorni hanno assunto una leggerezza mai vista, quasi scomparsi”.

Spesso il nostro atteggiamento di adulti è di giudicare velocemente, prima vi abbiamo delegati: alla scuola, alla tv, ai social, allo sport, poi ci siamo lamentati perché non ci parlate, accusandovi di essere egoisti di pensare solo a voi stessi. Invece personalmente penso che proprio voi, abbiate dimostrato di essere più sensibili, civili e responsabili di molti di noi. Non siete stati voi a riempire treni e a percorrere tutto lo stivale, non siete stati voi ad accalcarvi sulle piste di sci nei weekend a ridosso della quarantena, non voi a dire “ è poco più di un’influenza…”. Si è parlato di voi come coloro che, nel vostro muovervi, potevate portare danno agli anziani, ai nonni: forse perché sembrate sempre insofferenti verso tutti e non ci mettete nulla a dare dei “vecchi” ai vostri genitori, ma so anche bene che guai a chi vi tocca i vostri nonni, so bene la paura che avete di perderli, e conosco il dolore di chi effettivamente li ha persi. Mai mettereste a repentaglio la loro vita, sono gli unici cui rispondete al telefono, con cui non vi spazientite se non sentono, se vi chiamano interrompendo le vostre cose. A volte sono gli unici adulti con cui parlate volentieri. Da piccoli vi abbiamo riempito le giornate di attività e quando piano piano avete recuperato la vostra volontà e libertà di decidere vi abbiamo accusati di aver abbandonato questo e quello, forse eravate solo stanchi che qualcuno incasellasse di cose la vostra giornata… non vi abbiamo lasciato modo di sperimentare la noia, le passeggiate fuori a cercare qualcuno con cui parlare, ritrovarsi e quando vi abbiamo chiesto “dove vai?” non ci è bastato “fuori a fare un giro”, ci deve essere un perché, mica si può uscire senza un perché. Però ora che anche noi non possiamo uscire, ci inventiamo un perché, una scusa per uscire, ci indigniamo per le restrizioni di non poter uscire neppure a far una passeggiata.

Certo noi adulti abbiamo temuto per voi, per quel mondo là fuori, diverso da quello della nostra generazione e di quella dei nonni, liberi di girare, di non rendere conto per delle ore, di poter sperimentare. Lo abbiamo fatto per voi, per proteggervi e in qualche caso forse è servito ma certo per la vostra indipendenza, per il vostro senso di costrizione, credo possa aver rappresentato un ulteriore motivo di conflitto.

Mi sono chiesta più volte, come siete stati, voi che avete l’esigenza di ritrovarvi, confrontarvi, con l’amico/a come se fosse ossigeno per respirare, voi che avete bisogno della partecipazione al gruppo di coetanei, delle relazioni vere anche se complicate e a volte rischiose, indispensabili nel distacco dalla famiglia, per sentirvi individui compiuti. Come siete stati a non poter incontrare chi vi fa battere il cuore con un ritmo unico, che toglie il fiato e che vi fa sentire vivi come non mai? Mi chiedevo come potevate stare a non poter incrociare le vostre dita, battere i vostri palmi, abbracciarvi battendovi sulle spalle o stringendo forte a voi colei/colui che sa tutto di voi, che vi capisce senza parlare, che vi ascolta in qualunque momento, che accetta la vostra rabbia senza paura, a cui potete mostrare le vostre lacrime senza disagio? Vi è stato tolto, per un periodo lunghissimo, un valore che è la base della vostra trasformazione in persone consapevoli, vi è stata tolta la libertà, vi è stato chiesto di rinunciarvi e la maggior parte di voi l’ha fatto senza discussioni. Vi è stato chiesto di rinunciare all’uscire, alla possibilità di allontanarvi da quegli adulti che a volte sono invadenti, poco comprensivi, intolleranti, di rinunciare alla possibilità di prendere distanza, di evitare discussioni e incomprensioni. Siete dovuti rimanere a contatto con noi adulti a volte incoerenti, sempre pronti a chiedervi di staccarvi dal cellulare ma incapaci di non farci vedere sui social, impegnati in telefonate, a controllare le notifiche anche a tavola… Avete dovuto sentirci lamentare perché vi chiudevate in camera, perché non vi si vedeva mai, e forse non abbiamo fatto fatica a comprendere che era per voi essenziale ricavarvi uno spazio in cui poter pensare, senza interferenze, per potersi ritrovare e calmierare le emozioni e i turbamenti, per poterli stemperare prima di dover riapparire e per forza riavere a che fare con noi.

Ora che vi abbiamo avuto in casa, vi abbiamo anche scoperti capaci di essere parte della famiglia, ci avete chiesto di imparare a essere più autonomi, ci avete affiancato in cucina, avete riscoperto di poter aiutare a sistemare garage, cantine, imbiancare muri, insegnare qualche esercizio di ginnastica ai genitori o ai fratelli, magari qualcuno non l’avrà fatto volontariamente, ma sono certa che per altri casi è stato dato per scontato che non l’avreste fatto e invece vi siete rivelati una sorpresa.

Vi abbiamo insultato per il vostro tempo perso davanti ai computer, gli stessi mezzi che poi ora ci hanno insegnato a usare meglio per lo Smart work, voi che avete aiutato i professori a organizzare meglio le lezioni online e che avete coinvolto compunti genitori a creare spiritosi filmati di famiglia da condividere su canali social.

Finalmente, senza gli spazi di fuga garantiti dai nostri frenetici ritmi lavorativi e dai vostri impegni, abbiamo avuto l’occasione di cambiare il nostro sguardo che guardava ma che non vedeva, forse all’inizio non è stato semplice ma penso che sia stata una grande opportunità per noi adulti. Io penso che sia dura per voi adolescenti passati dall’essere il bambino messia, l’idolo tanto atteso, all’adolescente che ha perso i suoi primi fans, che non lo vedono più speciale, anzi non lo riconoscono più, ora che vi state differenziando, che state scegliendo di essere quello che vorreste essere, ecco che allora forse scegliete modi diversi di farvi idolatrare, chiedendo Like e condivisioni, in una nuova forma che ripaghi le vostre delusioni in un modo semplice, col rischio che però se ne creino altre, che crediate di piacere per quell’immagine che date e non per quello che siete, e siete tanto, infinitamente di più. Vi siete sentiti dire che il vostro è un periodo di vita spensierata, da rimpiangere… forse non abbiamo la percezione dell’infelicità, del vuoto cosmico, della crisi d’identità, dell’inadeguatezza, del sentirsi soli, esclusi inutili e persi che purtroppo per qualcuno di voi è sensazione concreta e realtà quotidiana. Contemporaneamente abbiamo avuto la possibilità e per qualcuno la fortuna, di renderci conto di come sapete essere ironici, a volte saggi, che sapete consolare e rassicurare anche noi adulti, talvolta talmente in difficoltà da rifugiarci nelle cucine a tenere le mani e la testa occupata a impastare pizze, torte e progetti post coronavirus.

In questo momento ancor di più vi accusiamo di essere instabili, di umore altalenante, ma ancora una volta sbagliamo lettura: da parte vostra un comportamento stabile sarebbe atipico e anormale. Normale è che vi comportiate in modo incoerente e imprevedibile: amare e odiare, vergognarsi e apprezzare i genitori, essere generosi e altruisti ma anche egocentrici. Una struttura adulta richiede tempo per emergere: integrare parti di Se, corpo e mente, trovare uno specchio in cui riflettersi, che accetti le vostre proiezioni, che non siano vissute come rifiuto, richiede tempo e fatica. Ci sembrate procedere spediti e sicuri verso il futuro, ma spesso i passi di crescita emotiva sono incerti, certe volte avete bisogno di tornare un po’ indietro per rassicurarvi e controllare “l’inquietante estraneo” che sta prendendo forma dentro di voi.  Compito nostro dovrebbe essere quello di non mostrarvi paura e disorientamento: “Se questo che sto diventando non fa paura a te che mi conosci, non farà paura nemmeno a me”, mentre a volte siamo disorientati e bloccati.

Nel guardare avanti verso l’ignoto credo che a volte in voi ci sia paura di perdersi o di dipendere o di provare la paura claustrofobica di essere inglobati.

La lotta emotiva urgente è nel presente e vi sottrae molta energia, non ce n’è abbastanza per occuparsi di tutto, ecco perché forse non siete puntuali e ordinati, difficile stare dietro a tutto… (anche se non dovrebbe essere per sempre!)

Non sempre noi adulti ci accorgiamo di quanto potete essere tristi, forse perché pensiamo che non dovreste avere il diritto di esserlo, a volte vi facciamo sentire sbagliati perché non siete felici e dovreste esserlo, non capiamo perché dovreste soffrire solo per il fatto di essere giovani.

 La scuola online per qualcuno di voi è stata una perdita, vi manca la possibilità di confrontarvi con la classe, i ritmi e le abitudini, per altri è stata una liberazione dalla sofferenza di non sentirsi accettati dal gruppo, di avere un passo diverso e di arrancare per un voto, per alcuni è stata la possibilità di evitare la sensazione di sentirsi inadeguati.  Per qualcuno poi la scuola genera sofferenza, non sto parlando di fatica, che quella è necessaria, sto parlando del fatto che forse non siete stati aiutati a essere consapevoli che quella fatica siete in grado di compierla, che gli insuccessi non devono mai deludere voi né nessun altro. Forse non avete trovato adulti, educatori autorevoli che fossero una “base sicura” permettendovi di potervi fidare e affidare, che in qualche modo vi hanno fatto capire che credevano in voi. Credo che spesso siate alla ricerca di personalità e che sappiate riconoscerla negli adulti di riferimento, anche se siete pronti a cogliere i nostri difetti, a volte siete irriverenti, pronti a contestare gli insegnanti ma siete anche in grado di distinguere chi dona qualcosa, chi distribuisce.

Quello che si sente ripetere in più ambiti è che i ragazzi sono cambiati, non sono più i ragazzi di una volta. Tutto vero, siete diversi dai ragazzi di ieri ma ciò che forse si dice poco è che anche gli adulti di oggi sono diversi dagli adulti di ieri. Diversi i genitori, gli insegnanti, le figure di riferimento, le figure da affrontare, da smontare, di cui prendere qualche pezzo buono e farlo proprio. Ci sembra di esservi più vicini ma forse non è abbastanza.

Da bambini ci vedete come miti, come depositari del sapere, poi iniziate a vederci umani e fallibili e questo non è un male, scoprite che anche noi adulti, ormai completi, siamo imperfetti e che le nostre competenze talvolta non sono altissime…Siete fatti di gesti della mente: pensieri, parole, fantasia, e molti di voi hanno usato questo periodo per scrivere testi o canzoni, siete fatti di gesti del corpo e molti hanno deciso di usarlo per approcciare uno strumento, per allenarsi in casa, per dipingere un quadro o creare progetti. Spesso vi abbiamo visto come apatici, ma se percepite il disinteresse o uno sguardo di delusione su di voi, forse è inevitabile che ci s’impantani per la paura di scontentare ancora, ci si arrabbia talmente tanto da paralizzarsi, non ci si prova più. Sembrate anafettivi ma a ben vedere per chiunque nella tristezza profonda si perde la capacità di amarsi e di amare.  In realtà credo sia solo una difficoltà di descrivere, di parlare del vostro mondo interno. Preferite ascoltare, fate fatica a trovare le parole per esprimere i vostri sentimenti in una sorta di pudore che vi protegge, da noi adulti, forse temendo l’uso che potremmo farne dell’essere a conoscenza di ciò che provate. Penso a chi non vede l’ora di andare fuori ma anche a chi ha paura, a chi si sente spaesato, disorientato, a chi già prima faticava a uscire, a trovare il suo posto là fuori, chiusi in silenzi, senza chiedere qualcosa per se, arrangiandosi, sentendosi trasparenti agli occhi di tutti, impegnati in battaglie interne che non immaginiamo.

Mi piacerebbe chiedervi cosa vorreste che facessimo noi adulti per “fare meglio”, vi vorrei chiedere cosa vorreste sognare se poteste farlo, l’unica cosa che io potrei dire è che non serve sempre parlare, che a volte vi basterebbe una presenza silenziosa, uno sguardo più ampio che segue, mentre vi spostate e giustamente prendete distanza.

Senza irritarsi per quegli occhi che molto spesso sono bassi, che non incrociano i nostri non sempre per disinteresse ma spesso per pudore, per disabitudine, allo stesso tempo dovremmo guardare i vostri occhi che sfidano, che non abbassano lo sguardo, perché sono certa che non volete il duello sempre, volete vedere se ci siamo, se restiamo nonostante tutto.

A chi esce sereno e a chi ha timore di farlo dico solo che è giusto provare paura ma non dobbiamo lasciare che s’impossessi di noi, che opacizzi lo specchio che rimanda la vostra immagine per colpa di un futuro certo insidioso ma che non può toglierci la speranza, vi chiedo di dare ascolto alle vostre idee strampalate e assurde ma vive e rigurgitanti di energia, quella che noi non abbiamo e a volte vi sbarriamo. Attingete al vostro spirito, siete energia e può essere un’energia bellissima che può cambiare il mondo e se non lo dovesse cambiare non importa, può cambiare anche solo il senso di un giorno a qualcuno ed è già una gran cosa.

Ai vostri genitori chiedo di guardare i vostri piedi chiusi in scarpe slacciate e non solo per fare in fretta ma per dare il segnale che non vi leghiamo, che siete liberi… chiedo di ascoltare i vostri silenzi, di chiedere cosa vorreste essere, di immaginarvi come ciò che vorreste essere perché questa energia passa e si diffonde oltre le parole e arriva a voi in qualche modo e fa’. Chiedo di ascoltare le vostre paure, la vostra tendenza ad abbandonare, il sentirsi soli in mezzo a tanti, sentirsi diversi e volerlo essere.

Chiedo di non vedervi solo oggetti persecutori, provocatori, stanchi, annoiati, menzogneri, ma che c’è senz’altro dell’altro, di vedervi come persone impegnate in battaglie quotidiane e se lo siamo noi adulti con le nostre fatiche come potete non esserlo voi?

A tutti gli adulti chiedo di fermarsi ad ascoltare e di farvi capire che volete comprendere, chiedo di non chiedere solo di essere ascoltati ma di farlo come uno scambio, rassicurandovi, abbandonando il “devi farlo”, tenendo saldo il “ puoi farlo e lo farò io per e con te”.

Parlare ed ascoltarsi in famiglia

Parlare ed ascoltarsi in famiglia

PARLARE E ASCOLTARSI IN FAMIGLIA: LA COMUNICAZIONE NELLA COPPIA E CON I FIGLI.

La comunicazione nella coppia è un processo dinamico, non statico. Inizialmente è preverbale, tutto accade attraverso l’occhio, come una regressione, come l’inizio di qualunque relazione infondo, poi diventa verbale e quasi le parole di uno e dell’altro si sovrappongono.  Col tempo si creano delle dinamiche di comunicazione, degli spazi e dei modi che risentono dei codici acquisiti all’interno delle proprie famiglie di origine. Tuttavia talvolta la comunicazione cambia e può emergere un malessere che solitamente nasce da aspettative, disillusioni di desideri riposti nell’altro, di bisogni non espressi. Ecco che allora il linguaggio cambia e gli atteggiamenti si induriscono, per mantenere la propria posizione si giunge a umiliare, svalorizzare, rimproverare, accusare e ferire l’altro con parole. Talvolta è il linguaggio del corpo che parla: i silenzi, gli atteggiamenti passivi, i bronci i sospiri, modalità passive , non comunicazione per sfuggire al conflitto ma è una guerra fredda. Si rimanda sperando che le cose si risolvano prima o poi da sole. Come ritrovare la comunicazione? Una risposta sicura non c’è ma qualche tentativo va fatto altrimenti sarà comunque una sconfitta.Intanto è importante pensare che ognuno di noi cambia e cresce anche nella coppia. Chi abbiamo conosciuto può cambiare e noi dobbiamo cambiare con lui, non possiamo pensare che i fatti della vita, il lavoro, i figli, l’età  non abbiano alcun effetto sul carattere. Spesso sento dire “ma è cambiato/a, non era così prima…” Io penso che sia un processo naturale, ma dobbiamo anche tener conto di: è lui /lei che è cambiato o io avevo bisogno/ desiderio che fosse così e ora si è svelato altro? Credo che per ritrovarsi ci si debba fermare, accantonando l’immagine sgradevole che si è creata, tornando indietro a ciò che ci ha colpito, ci ha fatto consegnare nelle mani dell’altro. Riprovare a parlare, spostando tutto ciò che si è messo in mezzo ( figli, lavoro, famiglie di origine…), lasciarsi venir fuori, dichiarare i propri bisogni, ciò che ci sembra di aver perso,ascoltando e immedesimandosi nell’altro, vedere i suoi sbagli per capire che potremmo farne anche noi. Cosa certa è che se ci sono difficoltà di comunicazione nella coppia, gli effetti pervasivi del funzionamento di coppia sulla famiglia sono evidenti. L’infelicità si insinua anche sotto la pelle dei figli. I genitori entrano in comunicazione con una modalità non verbale, sguardi, non sguardi, presenza e assenza, contatto corporeo o distanza e ciò getta le basi sulla comunicazione futura. Sarà l’esperienza con noi genitori che condizionerà il suo modo di relazionarsi e di comunicare futuro. All’inizio con un figlio non sono molte le difficoltà di comunicazione, qualche volta di farsi ascoltare ma abbiamo il timone ancora ben saldo. Infondo la comunicazione parte da ciò che infondiamo in loro. Ma si parte prima, anche quando le cose vanno bene, noi insegniamo ai bambini ad ascoltare, aspettare e comprendere e vedere il punto di vista degli altri. Con i bambini o parliamo troppo o non parliamo. Comunicare con un bambino vuol dire parlare del suo mondo, di quello che vede e ascoltare come lo interpreta, prestarsi all’ascolto e contenerlo, diverso è la relazione con l’adolescente, già complicato perchè in fisiologica crisi d’identificazione, lui sa di esistere ma non sa ancora chi è, chi diventerà. Inevitabilmente si chiude, sfugge, deve avere tempo e spazio per Se, in questo distacco noi leggiamo voglia di stare lontani da noi, di guadagnare libertà, ma c’è anche sofferenza. Il bisogno di opporsi fortemente è pari al bisogno di essere riaccolto, allo stesso tempo è necessario che la sua conflittualità esca e trovi un capro espiatorio al di fuori di lui. E quello spesso sono i genitori. Ha l’esigenza di essere rappresentato e contenuto nella mente degli altri. E magari si trova davanti due adulti che sono spauriti, non lo riconoscono più, disorientati non sanno più come parlargli.

Per l’adulto è difficile riassettarsi ma è indispensabile accettare, occorre prenderlo quando c’è, non lasciarlo sfuggire, altrimenti lo vedrà come un rifiuto da parte nostra. Ma si può anche rimandare, si è autorevoli anche se si è flessibile al punto da offrire al ragazzo la possibilità di essere ascoltato e accolto anche nel suo bisogno di differenziarsi e autonomizzarsi; ma anche fermi, in grado di contenere il tumulto dei suoi cambiamenti e conflitti interiori. Dobbiamo essere noi adulti quelli adattabili. La troppa rigidità è vissuta come distanza e come abbandono, in questo caso il ragazzo e il suo atteggiamento sarà di provocazione, oppositività. E’ necessario prstarsi allo scontro ma anche contenere. Non è facile restare in equilibrio davanti a un figlio che ti respinge, rifiuta tutto, che già dallo sguardo può ferire. Il compito è arduo, e comunque si sbaglia. Non fare l’errore di voler essere amici, di voler sapere tutto, lasciargli una parte di sconosciuto, tutta loro è necessario, non cadere in provocazione, non ferire intenzionalmente se si è stati feriti, non offendere per vincere il confronto, non attaccare la dignità della persona, non cercare il suo senso di colpa.A volte togliersi è uguale a mettersi. “Non me lo dire. Domani se avrai voglia di dirmelo mi piacerà ascoltarlo… Non porre l’attenzione sempre a cose che mancano o sono troppo poco. Sogni e aspirazioni di questi ultimi, anche molto semplici, restano inascoltati in una quotidianità in cui ciascuno appare concentrato principalmente su se stesso e i propri problemi. Infatti spesso dai discorsi dei genitori si coglie un profondo senso di affanno, di stanchezza, si dichiarano provati, sfibrati, sfiniti. Cercano stabilità, la possibilità di trovare uno specchio che rifletta anche le loro parti buone, anche quelle che loro non riescono a vedere, perché immersi in molte situazioni che a loro fanno paura, nell’incertezza del futuro… Se questo che sto diventando non fa paura a te che mi conosci, non farà paura nemmeno a me.

Vi chiedo di ascoltare il loro silenzio e di far capire loro che volete capire cosa vorrebbero sognare se potessero farlo, vi chiedo di non chiedere solo di essere ascoltati ma di farlo come uno scambio, abbandonando il “devi” , tenendo saldo il “ puoi farlo e lo farò io per e con te”.

Come si comportano i bambini tra di loro a scuola.

Come si comportano i bambini tra di loro a scuola.

ll bambino ha bisogno di amici da sempre,ma è nell’età scolare che le relazioni assumono per lui importanza  fondamentale e determinante, tanto da rappresentare un parametro di buon funzionamento e di sviluppo neuropsicologico. La scuola, Materna ed Elementare,mantiene il primato di grande spazio di incontro per stare insieme, in gruppo,tra coetanei. Il tempo della scuola permette di passare dai libri e quaderni  ai segreti, alle coalizioni ma può anche far sperimentare esclusioni e rivalità,ingiustizie e gelosie . E’ anche vero che la scuola rappresenta il banco di prova di ciò che li aspetta nella società,  quindi li prepara ad entrare in contatto con regole, ruoli, funzioni e caratteri, tutto ciò che ci si troverà ad affrontare tutti i giorni nell’ambiente di lavoro. Le relazioni tra compagni di classe sono diverse rispetto a quelle dell’amico del cuore, è un incontro che mette in gioco i suoi sentimenti ma ancor di più la sua identità sociale,il suo posto. Non sempre l’immagine sociale corrisponde all’immagine privata del bambini, ecco che allora i genitori rimangono stupiti di vedere un bambino che a scuola è descritto in modo molto diverso rispetto al bambino che conoscono, “ ma siete sicuri che quello  di cui parlate sia mio figlio?” è una frase che spesso gli insegnanti si sentono ripetere dai genitori ai colloqui. Amico allora come significato di compagno di giochi ma anche come persona simile a me,con cui condividere ciò che non sempre si può condividere con l’adulto.Per di più, a differenza dei propri familiari, l’amico si può scegliere, mentre non si possono cambiare i genitori . Il rapporto con i coetanei, infatti è caratterizzato dalla libertà di scelta, anche se le amicizie sembrano nascere per caso, il legame è condizionato dalle capacità del bambino di conquistare,di far nascere e di coltivare un rapporto. E’ possibile che in qualche circostanza il bambino possa sentirsi tradito nell’amicizia e soffrire, ma egli può superare la delusione e trovare nuovi amici se saprà tenere presente la regola fondamentale dell’amicizia: la libertà.  E’ importante che impari  cosa ci si può aspettare dagli altri, cosa dare agli altri e che riesca ad accettare la possibilità di un rifiuto.La paura del rifiuto, del tradimento ha radici lontane, spesso risale al non sentirsi abbastanza amati, anche se ciò, nel bambino, spesso corrisponde a fantasia e non a realtà, ma ciò nonostante come realtà va gestita. Non tutto però è negativo, i ruoli di solito si alternano e chi viene escluso oggi,domani sarà al centro, sarà il leader, se nel rapporto viene stabilita un’equità, un “io e te valiamo uguale”.Dei rapporti tra compagni poco sanno i genitori,se provano a far domande spesso si sentono rispondere: “niente, non mi ricordo,uffa…” Perché è una cosa loro; anche se  forse è difficile saper domandare,forse ci si ferma per non sentir brutte risposte ed è comprensibile, ma ciò che conta è che quello che non sappiamo può aver un peso e può essere qualcosa che fa soffrire troppo.Molte volte i bambini non raccontano gesti o parole che li feriscono, li umiliano, vanno ben al di là dello scambio di pareri che fa crescere, e in questo spazio i genitori devono entrare.Il coetaneo è anche un modello in cui identificarsi, è più semplice perché più vicina a lui, che va oltre al modello fornito dai genitori,che tra l’altro a loro non basta. Ecco allora i nostri bimbi imitare ammirati e affascinati i bambini che vorrebbero essere,a cui vorrebbero assomigliare, copiare come parlano,come camminano, come si vestono…cosa che abbiamo fatto tutti a tempo debito.
Con il coetaneo ci si può arrabbiare, a volte anche con aggressività, si può prenderlo a pugni o per i capelli, non parlargli più per giorni e giorni. Con il genitore questo non è possibile, con loro non si può entrare in un conflitto così aperto. Con l’amico si possono esprimere sentimenti repressi, a volte negativi: rivalità, gelosia, paura di esclusione, possessività. Ricalcando in parte ciò che succede in famiglia ma senza che ciò rappresenti il pericolo di perdere un affetto, potendo giocare ora l’uno ora l’altro ruolo.Più difficile è il legame di amicizia per i bambini che in qualche modo rappresentano il diverso: il bambino straniero, il portatore d’handicap,l’adottato,il figlio di genitore sigle sia esso figlio di separati,orfano.Verso il bambino con handicap gli altri possono essere impauriti come se la stessa cosa potesse succedere a loro,perché percepiscono di essere ancora una struttura fisica in evoluzione,che muta fisicamente e intellettivamente, così  temono che possa capitare a loro, pensano di potersi trasformare. Così in qualche caso può succedere che mettano in atto atteggiamenti poco solidali, di rifiuto, di indifferenza,di ostilità, spesso per paura e per angoscia, raramente per malanimo.La stessa cosa accade per il bimbo che ha genitori separati o che un genitore non ce l’ha. Il bimbo vede in lui se stesso, la possibilità che possa accadere a lui e questo è naturale, fa parte del processo dell’immedesimazione; ma se non mette in atto l’empatia, il mettersi nei suoi panni, come può reagire ? il bambino o il ragazzo allora si difende, lo allontana, perché così facendo allontana da se quello che teme, ciò che lo getterebbe in un’angoscia profonda che non ha eguali. Perché questo è ciò che può provare il bimbo che sperimenta che il suo romanzo familiare si è dissolto. Deve faticare e sperare di poter comunque continuare a vivere. Cosa può aiutare, al di là della famiglia un bimbo a vivere? I suoi compagni, la scuola, la maestra figura dotata di poteri magici,dispensatrice di magia, ma anche sorgente di incubi cupi, figura di sterminato potere, ma quel che più conta di potere vero. Di conseguenza il tempo che il bambino passa in classe, a scuola è un tempo importante, formativo per la sua mente ma anche per la sua personalità. Personalmente penso che al di là del rendimento, il comportamento rappresenti una parte importante del profilo di un bambino. Parlando con i bambini della loro pagella invece sembra un dato di poco conto, il voto del comportamento sia esso anche otto è un buon voto! Il voto del comportamento, oltre al valore del numero credo abbia invece un gran valore se ben ponderato, se non significativo solo di vivacità, di cattiva attenzione, di descrizione di bambino incline alla chiacchiera. Perciò penso che la valutazione del comportamento debba tener conto della capacità di entrare in una buona relazione amicale, della fatica di mantenere rapporti con tutti, al di là delle preferenze del cuore. Dovrebbe essere significativo del rispetto e dell’attenzione che il bambino nutre per i coetanei e le altre figure di riferimento. Tuttavia benché si tenda a ingigantire i fenomeni conflittuali molto spesso mettendoli sotto la stessa voce, facendo periodicamente un gran parlare  di Bullismo,non possiamo negare che la prevaricazione tra bambini esiste ed è sempre esistita anche nelle scuole di un tempo. Forse ora la prepotenza è presente in maniera più pesante e subdola, forse anche come risultato del clima  generale di violenza attuale. Il momento storico attuale porta noi adulti a parlare a lungo degli effetti della violenza,dell’obbligo di proteggere i bambini dagli effetti di ciò che vedono, che sentono, ma sono discorsi efficaci?Sarebbe un gran passo cercare di evitare che la violenza si infiltri nei loro rapporti. Che i gesti e le parole offensive non attacchino la dignità della persona anche se si tratta di un bambino o di un ragazzo, che non umilino gratuitamente e crudelmente, spingendo chi subisce, in quanto diverso, a sentirsi in colpa per ciò che colpa poi non è. I prevaricatori sono caratterizzati da un lato del carattere che è la mancanza di empatia, dall’impulsività, dall’ incapacità di creare relazioni stabili,anche al di fuori dei coetanei. Si dimostrano indifferenti verso il male che causano o potrebbero causare. Senza nascondere il fatto che anche le bambine sanno essere crudeli ma di norma sanno esserlo con più astuzia. Se un tempo nel gioco tra bambini poteva capitare di sentir dire “tu non giochi perché sei piccolo” oggi è capitato di sentir dire “ tu non giochi perché non hai il papà”… E’ in famiglia, nel rapporto con i genitori che il bimbo costruisce la base per avere fiducia nelle proprie capacità, la sua stima, mentre nel confronto col coetaneo la conferma. E’ il codice della famiglia che diventa il suo codice, per questo il peso delle nostre opinioni, delle nostre parole ha un valore perché delinea ciò che siamo; ma è altresì un seme che mettiamo nei nostri figli e che in loro può crescere prendendo direzioni che potrebbero nuocere prima di tutto a loro stessi. Esistono infatti diversi tipi di bambini:
Il leader alle cui decisioni gli altri sembrano conformarsi.L’intermediario e  il pacificatore. Il gregario, quello cioè che sta a guardare, pronto a seguire. Il capo espiatorio quello che diventa il parafulmine delle tensioni.
Cosa fare? Secondo le ricerche più aggiornate è decisivo l’atteggiamento degli insegnanti, che talvolta può essere sfortunatamente di ostacolo al buon funzionamento della classe o più spesso può rivelarsi elemento di arricchimento per la crescita dei bambini, se così verrà percepito. Non bastano i proclami, le dichiarazioni di principio,ma è necessario far seguire alle parole i comportamenti,perché sono quelli che i bambini capiscono e assorbono. Senza scomodare i discorsi sul razzismo,sul bullismo, dobbiamo pensare che oggi uno dei rischi da tener presente non è la cultura dell’intolleranza o dell’emarginazione,quanto la tendenza a negare la diversità.
Fornire un sostegno educativo adeguato,in modo che i risultati derivanti dal lavoro di squadra,di classe, verso l’anello più debole della catena,producano nei ragazzi un  coinvolgimento emotivo, generino la fiducia e la speranza che supera la paura.Insegnare che il valore è relativo, non assoluto: si può essere in inferiorità e dipendenza e in altre circostanze in situazione di superiorità e autonomia. Che le situazioni difficili possono mettere alla prova ma non distruggere. Non vanno accettate prepotenze. E’ obbligatorio coinvolgere anche quelli che stanno a guardare,che non si schierano. E’ indispensabile vigilare nei momenti di pausa e ricreazione,quelli in cui si dà finalmente spazio alle pulsioni e alle tensioni.
Proprio ieri ho chiesto ad un bimbo di V elementare come si trovasse con i suoi compagni con chi giocasse a scuola, e così parlando mi spiega che, da poco, è arrivato un bambino nuovo, italiano e  che non vorrebbe proprio essere lui perché “tre compagni ( è sempre il gruppo che rende forti)quatti quatti da dietro gli hanno abbassato i pantaloni davanti a tutti, metà dei presenti ha riso, gli altri sono rimasti a guardare. Il bimbo si è arrabbiato molto e più si arrabbiava, più loro tre ridevano.” Sfortuna vuole che “un’insegnante, la più molliccia,ha visto solo lei,  però gli ha solo detto che non dovevano con un tono come se dicesse tira su la carta di caramella, quindi loro è logico che se ne fregano. Ma lui non è niente, l’anno scorso i soliti tre se la prendevano con un bimbo marocchino, tutti i giorni finchè non ha cambiato scuola, e le maestre non vedono mai”….
Certo non ci sono ricette, non sempre sguardo, parola e fiato riescono ad essere dentro la vicenda ma abbiamo tutti delle responsabilità, possiamo sempre avere una seconda opportunità per riparare le noncuranze, i momenti di  distrazione…“Volevo che il Bene trionfasse, lo volevo con tutta la forza di cui ero capace, ma volevo con altrettanta forza che fosse un bene autentico, temprato da tutte le prove possibili. Volevo che le sue mani rifulgessero non perché erano sempre state pulite, bensì perché non aveva temuto di sporcarsele…”

L’adolescenza: vivere non è facile…

L’adolescenza: vivere non è facile…

Nella vita di una persona il periodo dell’adolescenza corrisponde al momento di maggiori cambiamenti sia esterni sia interni; cambiano soprattutto gli affetti, i sentimenti e le relazioni. Ogni adolescente vorrebbe saltare questa fase di trasformazione e svegliarsi a cose già fatte!
L’adolescenza costituisce l’interruzione di una crescita pacifica, è uno sconvolgimento strutturale come pochi altri.  Se il ragazzo mantenesse un equilibrio stabile, sarebbe di per se atipico e anormale. Normale invece è che si comporti in modo incoerente e imprevedibile, amare e odiare i genitori, ribellarsi e dipendere da loro, vergognarsi e apprezzarli, essere generoso e altruista come egocentrico e calcolatore. Queste contraddizioni stanno a significare che una struttura adulta di personalità richiede un tempo per emergere. Ogni fase è premessa di quella dopo, questo significa CRESCERE, accedere a livelli sempre maggiori di difficoltà.
Nel passaggio tra latenza e adolescenza c’è un conflitto tra volontà di crescere e restare bambini.
Sia genitori che figli vanno incontro a perdite di potere, i genitori perdono l’innocenza dei figli, il ragazzo deve difendersi dai legami infantili, a volte con la fuga, a volte con l’indifferenza a volte col rovesciamento dei sentimenti (amore-odio, dipendenza-ribellione, ammirazione-derisione). Mentre il ragazzo vive il mondo adulto come fonte di sicurezza e appoggio, l’adolescente scopre che l’adulto non sa tutto e ne rimane deluso; sente pertanto l’impulso di allontanarsene e di rivolgere la propria affettività verso l’esterno, principalmente verso i coetanei. Eccolo allora credere ciecamente a ciò che dicono “i suoi amici che lo capiscono” e mettere in dubbio quello che dicono i genitori (“cosa volete saperne voi?”). Inizialmente l’adolescente adotterà i valori del gruppo dei pari cui sente di appartenere, che gli permettono di separarsi e individuarsi dalla famiglia; poi, nella maggior parte dei casi, arriverà ad assumere una morale autonoma, indipendente dal contesto esterno. Questo distacco è comunque costruzione del Se sociale, è un atto di coraggio, sostituisce la sicurezza che gli veniva dai genitori e si confronta nel gruppo che è fonte di appartenenza, ma anche di esperienza e apprendimento.  Ma in questo distacco non c’è solo libertà, c’è anche sofferenza. Il bisogno di opporsi fortemente è paralizzante quanto un’obbedienza completa, allo stesso tempo è necessario che la sua conflittualità esca e trovi un capro espiatorio al di fuori di lui. Quando contrariamente l’ostilità e l’aggressività sono impiegate internamente, vi è il rischio di assistere a fenomeni depressivi e di autolesionismo. Il dolore dei sentimenti può essere talmente insopportabile da volerlo sostituire con un dolore fisico, più palpabile e comprensibile.  Per sfuggire al tumulto interno talvolta c’è il rischio che si concentri solo sul corpo (ipocondria), o che regredisca. In questa fase precipitano le illusioni infantili di vivere una vita eterna. Per l’adolescente accettare di possedere la vita implica che potrebbe giungere in qualsiasi momento la morte. Alcuni ragazzi coscientemente o incoscientemente non lo tollerano e possono mettere in atto condotte di rischio, di sfida alla morte. In questo modo mettono in atto circuiti che riattivano l’onnipotenza, l’invulnerabilità (ecco l’atteggiamento irresponsabile di giuda veloce, azzardata, la litigiosità per un nonnulla che scatena la rissa, la scommessa con il rischio) ma che li possono portare a gravi incidenti.
Tipica di questo periodo è la tendenza al passaggio all’atto, l’impulsività (proprio per evitare di pensare ai motivi del conflitto) e la familiarità con l’idea di morte, com’è frequente la comparsa d’ideazione depressiva.
L’adolescente è in un momento di rinunce e lutti: crollano le illusioni personali e l’immagine dei genitori che diventa meno ideale. Diventa consapevole della distanza tra Io, ciò che è, e Ideale dell’Io, ciò che vorrebbe essere, delle imperfezioni dei genitori.

E’ un passaggio obbligato quindi che si ribelli alle regole e alle tradizioni familiari per trovare di proprie che non è detto si discostino così tanto da quelle d’origine.
Il soggetto deve farsi un’immagine di se adulto, creandosi un’identità che all’inizio prende spunto dalle figure più vicine, il padre, la madre, ma vi possono essere anche identificazioni inconsce. Se l’immagine dell’identità materna o paterna è troppo alta, può essere difficile da raggiungere, può essere difficile pensare di poter assomigliarci, poter diventare come lei/lui. Allo stesso modo se l’immagine del genitore dello stesso sesso è svilita, mancante, debole, un adolescente si discosterà da lui, lo sentirà ancor di più estraneo e vorrà starne lontano.
L’adolescenza è caratterizzata da una crisi d’identificazione, di angoscia verso l’integrità e autenticità del Se, del proprio corpo e proprio sesso: lui sa di esistere ma non sa ancora chi è, chi diventerà.
L’adolescente, infatti, è impegnato in una lotta emotiva urgente, è preoccupato per il tempo presente e non ha abbastanza energia da dedicare alle richieste esterne, ecco che così si spiega la sua difficoltà a essere puntuale, a ricordare gli impegni… il ragazzo mette in scena il problema che è poi il problema di tutti: integrare corpo e mente. Si vede e deve affronta il tema del doppio, il corpo, che non riconosce, lo vive come estraneo e deve farlo proprio (ecco spiegate le ore passate allo specchio!). Ha l’esigenza di essere rappresentato e contenuto nella mente degli altri.
Nell’adolescente i sentimenti di mortificazione e vergogna hanno un posto rilevante. Inadeguatezza, incompetenza, disagio e depressione sono sentimenti presenti.
Difficile ricordare l’atmosfera nella quale l’adolescente vive, proprio perché è così densa di emozioni forti che è necessario per tutti dimenticare un po’. Ma ognuno di noi ha vissuto le angosce, l’euforia, la profonda depressione, i facili entusiasmi, l’estrema disperazione, le appassionate e per contro sterili preoccupazioni filosofiche, le smanie di libertà il senso di solitudine, il sentimento di oppressione dei genitori, le rabbie impotenti o l’odio attivo verso il mondo adulto, le infatuazioni erotiche, le fantasie suicidarie… L’adolescente passa da una posizione emotiva all’altra, o le esprime tutte simultaneamente, o in rapida successione, lasciando poco tempo e spazio all’adulto per recuperare le forze e cambiare il proprio modo di trattarlo in base al bisogno mutato.
Per l’adulto è difficile riassettarsi ma è indispensabile accettare le proiezioni che l’adolescente da’ di Se, occorre prenderlo quando c’è, non lasciarlo sfuggire, altrimenti lo vedrà come un rifiuto. Importante è che il ruolo autorevole del genitore sia flessibile al punto da offrire al ragazzo la possibilità di essere ascoltato e accolto anche nel suo bisogno di differenziarsi e autonomizzarsi; ma che sia anche fermo, in grado di contenere il tumulto dei suoi cambiamenti e conflitti interiori. Dobbiamo essere noi adulti quelli adattabili. La troppa rigidità è vissuta come distanza e come abbandono, in questo caso il ragazzo dà segnali riconoscibili: provocazione, opposizione, demotivazione. E’ necessario spiegare che si agisce nell’interesse reale così non si sentirà scaricato.
Il ragazzo disorientato o inibito nel rapporto con i suoi genitori più facilmente, invece, sarà preda della “pressione del gruppo”, non solo nella moda, nei gusti, negli atteggiamenti, nel linguaggio (il che è perfettamente normale), ma anche nelle scelte ideologiche e nei valori di fondo.
Oggi sembra che la tappa dell’adolescenza sia un po’ dilatata, allungata.
Una delle cause è la difficoltà di “futurarsi”, pensarsi nel futuro, che i ragazzi incontrano oggi durante la formazione dei loro studi. Un tempo durante lo studio, sapere che comunque ci sarebbe stato un lavoro ad attenderli rassicurava gli adolescenti di qualche decennio fa.
Altra causa è l’atteggiamento dei genitori che consapevoli e angosciati da questo cercano di proteggerli, e questo fa si che alcuni ragazzi non si assumano responsabilità, non inizino nemmeno a lottare, ad agire; si fermano nell’inedia, nella passività. Ciò che più impensierisce è la sensazione di vuoto; come se la paura li disorienti talmente tanto da non saper da che parte iniziare, allora non resta che rimanere fermi, sospesi. Si mimetizzano risparmiando forze ed energie, sembrando pigri e irresponsabili. Alcuni sentono di non funzionare bene e hanno atteggiamenti di demotivazione, di ritiro.
Ma non è così, sono sgomenti. Sentono gli adulti vicini ma nello stesso tempo lontani perché impotenti, preoccupati.
Solitamente come medico mi capita di intervenire quando il problema appare evidente nei vari contesti, scuola, casa, ambiente sociale, ed è necessario intervenire.  D’altro canto ci sono situazioni di disagio in cui non possiamo intervenire perché non sono portate a nostra conoscenza. Segnali di disagio si manifestano attraverso forme di depressione, disturbi d’ansia e fobie, disturbi psicosomatici e disturbi del sonno o dell’alimentazione.
In questo clima d’incertezza è ancora più difficile essere genitori di adolescenti, è una prova ancor più faticosa ma è doveroso prevenire difficoltà più grandi. E’ necessario definire un compito chiaro e preciso; qualunque sia la meta senza un suo significato perderà valore e non costituirà una sfida. L’obiettivo deve essere misurabile e raggiungibile seppur stimolante, con i ragazzi occorre lavorare con uno sguardo al futuro ma restare sull’immediato. Ci si dovrebbe ricordare di lodare l’adolescente in pubblico e criticarlo in privato e abituarsi a farlo con poche parole, separando l’errore dalla persona, tenendo a mente che attraverso le fasi di rivolta in cui l’adolescente è teso a stupire e ad affermare Se, lentamente allenterà le tensioni e accetterà un confronto fino a ridimensionare il suo giudizio, fino a far tacere i tumulti che lo investono e a stabilire un accomodamento interno necessario a ripartire per una nuova fase di vita in cui non crederà più di poter riorganizzare il mondo ma comincerà a organizzare il suo piccolo mondo, Se.

Disturbi del ritmo sonno veglia.

Disturbi del ritmo sonno veglia.

I disturbi del ritmo sonno veglia rappresentano per il Neuropsichiatra Infantile uno dei motivi più frequenti di richiesta di visita sia che si tratti di un neonato che di un bambino di età scolare. Solitamente il disturbo del sonno preoccupa sempre i genitori quando la quantità del sonno è in difetto, quasi mai preoccupa quando esso è in eccesso…
Infatti, spesso i neo genitori dei piccoli neonati telefonano allarmati e sfiniti quando, presi tra poppate e colichette, non riescono a chiudere occhio di notte e a godere essi stessi di un sonno ristoratore. Le mamme a questo punto sono preoccupate che il loro infante abbia qualcosa che non va, preoccupate di non riuscire a capirlo nei suoi bisogni e rischiano di cadere in una spirale di ansia, angoscia e panico che le conduce in uno stato di prostrazione, di stanchezza che qualche volta rischia di rinforzare quel periodo fisiologico di fragilità conosciuto con il nome di “ depressione post partum”.
Il sonno come l’alimentazione rappresenta uno dei canali di comunicazione di disagio del bambino, ma esso rappresenta anche un grande piacere, qualcosa che fa star bene. Si dice infatti: ”Dorme come un angelo”, come a dare del buon sonno il significato di qualcosa di celestiale, ultraterreno.
Spesso si ritiene, a torto, che un bimbo debba necessariamente solo mangiare e dormire. Tra genitori si dà ascolto all’esperienza degli altri, ci si confronta e sembra sempre che tutti gli altri bambini dormano senza problemi, tutti tranne il proprio. Per questo è facile che si faccia strada, nella testa di alcuni, l’idea che nel proprio bambino ci sia qualcosa che non va o il dubbio di essere genitori che sbagliano qualcosa. Invece non è poi così naturale che tutto fili liscio.
In realtà esiste uno spazio di tempo necessario affinché il bambino sia in grado di raggiungere un certo grado di autoregolazione. Non è sempre semplice la comunicazione con una creatura di pochi giorni, non è facile cogliere i suoi segnali, soprattutto se si è inesperti e alle prime armi, è concesso sbagliare se serve poi a far meglio.
Primo passo è di escludere che alla base del disturbo del sonno ci sia una patologia neurologica, un problema fisico (es. fame, reflusso gastroesofageo), un problema ambientale (es. freddo, caldo, luce, rumore).
Molto spesso mi si chiede se sono favorevole a metodi spiegati in un famoso libro che tratta di come far dormire i bambini… personalmente penso che non sia mai un bene generalizzare penso che non si possa pensare che i bambini siano pronti allo stesso modo nello stesso momento, penso che una cosa possa andar bene a uno e non bene a un altro. Per qualche bambino è possibile, per altri no, per qualche genitore è possibile per altri no. Non è detto che chi non ci riesce sia meno bravo e più debole di chi ce la fa.
Non tutti hanno la stessa capacità di tollerare il pianto, la protesta del bambino. Il distacco per lui può significare solitudine, separazione ed esclusione ma non c’è nulla di anomalo, si tratta di sentimenti ed emozioni inevitabili nello sviluppo evolutivo del bambino, sono “prove” da affrontare e da superare a poco a poco per poter crescere.
La vita di fatto inizia con una perdita, un distacco. Durante la vita intrauterina non c’è separazione, si è sempre insieme, c’è fusione. Fino alla nascita è probabile che vostro figlio vi conosca meglio di quanto voi conosciate lui. Fino a quando è nella pancia, lui è intento a mangiare, dormire e sentire. Sente il cuore della mamma, le voci, i suoi movimenti, i suoi gusti e i sapori, le sue emozioni. Tanto è che molte mamme rimpiangono la gravidanza, la pancia, perché era un momento in cui non si sentivano mai sole, “ sì alla fine ero stanca, mi pesava, ma poi che tristezza scoprire che la pancia non c’era più”…
Una volta fuori dall’utero il bambino sperimenta la gratificante illusione che sia lui che la sua mamma dividono gli stessi confini. La sua mamma si frappone tra lui e il mondo proteggendolo dall’angoscia sovrastante. I bambini hanno bisogno della sua continua presenza, perché non tollerano la separatezza fisica e psichica.
E’ complicato diventare una persona a se stante. Come dice uno scrittore che apprezzo molto “ essere in due comincia dalle madri”. Difficile trovarsi da soli sulle proprie gambe e avanzare barcollando, sarebbe più comodo rimanere tra le braccia materne. Quando ci si riesce, però la perdita è controbilanciata dal guadagno delle esperienze fatte allontanandosi.
Ma se questo avviene troppo presto, al momento sbagliato il costo della separazione può essere troppo alto.
I bambini hanno antenne acutissime si sa, assorbono come spugne il clima familiare, l’energia e la gioia del loro arrivo li rinforzano ma essi assimilano anche le ansie e le tensioni dell’atmosfera familiare intossicandosi. Assumono i carichi di sollecitazioni esterne legate a eccitazioni e nervosismo. Tutto può interferire col ritmo sonno veglia, i cambiamenti delle abitudini e dei ritmi variazioni che richiedono un tempo di adattamento più o meno lungo. Tra i cambiamenti influiscono anche gli apprendimenti stessi del bambino, l’inserimento al Nido o alla Materna, le vacanze, un trasloco, l’arrivo di nuove nascite, le separazioni, i conflitti, un licenziamento, un lutto.
I piccoli, infatti, risentono anche di situazioni che fanno parte dell’esistenza, circostanze imprevedibili che possono portare con sé distrazione, allontanamento e distacco, ad avere la testa altrove. Ciò può rendere difficile assicurare il nutrimento affettivo necessario ai bambini, la mancanza di nutrimento emotivo è poi come dormire con la pancia vuota…molto penoso.
Quindi perché mai rinunciare per perdere il controllo e sprofondare nell’oblio?
Il sonno è un momento di vita molto importante. E’ la fase che contribuisce allo sviluppo del pensiero, fase in cui il bambino si può distogliere dalle sollecitazioni del mondo esterno, rientrare in se stesso. Egli dormirà meglio più la veglia si sarà svolta in un clima sereno, stimolante ma non troppo stancante.
Il bimbo nelle fasi di addormentamento in realtà vuole essere lasciato tranquillo per poter appisolarsi, ha bisogno di tranquillità, in un certo senso ha bisogno di ritiro, come avrà bisogno di poter giocare da solo. Il Sonno ha valore di separazione e distacco dai genitori ma anche dai giochi, dall’esterno che sta scoprendo.
Anche da neonato, infatti, inizia a farlo, quando sembra, bastarsi da solo, inizia a comunicare tra se e se, facendo i conti con le immagini, i ricordi e i desideri che prendono una forma sempre meno confusa. Sperimentando l’unicità ci concede una tregua dalla solitudine della separatezza.
Non è detto che tutto fili liscio, certamente ci saranno momenti in cui il bimbo si sentirà abbandonato e userà il pianto come richiamo ai suoi bisogni.
Ciò che si deve fare è aiutarlo e consolarlo perché si sente solo, ha paura, ma resistere e non portarlo con sé nel lettone, (sebbene sia da considerarsi fino a che punto, questo vada a vantaggio del bambino e quanto della coppia… molto spesso alcune richieste arrivano anche da mamme di bambini dai sei ai dodici anni che non riescono più a gestire un figlio, talvolta anche due, che s’infila nel lettone) altrimenti ciò assumerà valore di soluzione magica a ogni forma di disagio.
Unica cosa è consolarlo di notte e tenerlo vicino di giorno, parlargli, giocare con lui. Anche se crollano, tendono a rimandare, i più grandi a contrattare.
• Perché sanno che mentre loro dormono la vita continua e loro vorrebbero partecipare!
• Per paura dell’abbandono, che dormendo tutto venga meno. Vivono l’angoscia profonda e radicata di non ritrovare più nulla, soprattutto nella fase dei conflitti, delle rivalità e dei castighi.
• Se c’è poco tempo per lui dopo il rientro dal lavoro rivendica il mal tolto, “la fa pagare”.
Compito dei genitori è gestire la regressione in modo che essa sia accettata e aspettata.
Il consiglio è di facilitare il passaggio al sonno con l’utilizzo di rituali che si cambiano quando hanno esaurito la loro funzione, buio-luce, silenzio-carillon, peluche, storia, ninnananna. Rituali ripetitivi e quindi rassicuranti per lui perché può controllarli e quindi, come controlla quello, pensa di controllare il resto, altro da Se.
E’ necessario agire con passaggi graduali, poco importa se vi saranno intoppi, anche l’eccezione che conferma la regola è importante basta che vi sia coerenza tra i due genitori.
Tra le difficoltà del ritmo sonno-veglia nel 1° anno d’età le più frequenti si manifestano con insonnia agitata e calma, opposizione. Nel 2°-3° anno con fobie per andare a letto, atteggiamenti di opposizione e provocazione.
Tra le condotte patologiche vi sono il sonnambulismo, gli automatismi motori, le angosce notturne: il “pavor notturno” caratterizzato da risveglio ansioso, occhi sbarrati, il bambino urla e non riconosce chi accorre, lo respinge.
Tra i rituali la ninna-nanna ha mantenuto inalterata nel tempo la sua funzione. Unisce l’effetto calmante della voce, del tatto, permette “l’incantamento”, ha quasi un effetto ipnotico! La ninna-nanna, patrimonio culturale di ogni popolo, permette inoltre alla mamma di riposare anch’essa per poter poi dedicarsi a ciò che deve ancora finire di fare, ma soprattutto le permette di finire la giornata del proprio bimbo prospettando un domani positivo, augurandogli solo cose belle, solo sogni d’oro.

Bambini nella tempesta della separazione coniugale

Bambini nella tempesta della separazione coniugale

E’ bene conoscere e prevenire il vero dramma provato dai soggetti più deboli della famiglia

Emma: “… Non mi aspettavo che i miei genitori  si separassero… però mi sono sentita sollevata perché finiva il casino…ma mi dispiace per mio fratello, cresci diversamente con due genitori separati, dubiti anche nelle altre relazioni con le persone che incontrerai nella vita…  Credo che se i tuoi stanno insieme, cresci più sicuro, hai una personalità più solida, puoi allacciare legami più duraturi…” Chiara: “…non piango perché loro litigano, sono preoccupata… non perché si separano, ma per come litigano, per quello che potrebbe succedere… magari il papà fa del male alla mamma…”.

Ho scelto di parlare con le parole di Emma e Chiara (nomi di fantasia), per parlare di ciò che provano i bambini, i ragazzi coinvolti nella separazione dei loro genitori.

“Il matrimonio -scrive Malinowski- rappresenta uno dei più difficili problemi personali della vita…”. Certe volte l’amore muore, e lo spazio tra ciò che uno deve avere e l’altro può dare non coincide più. Le premesse o le promesse non vengono rispettate, le aspettative insoddisfatte sfociano in torti, insulti. Ci si fa deliberatamente del male e  non si tollera più niente. Ogni pretesto viene usato contro l’altro. La fine del matrimonio rappresenta sempre un lutto, la perdita di un progetto di vita, la delusione di non far più parte di una coppia e molto altro ancora.

Nell’ultimo decennio si è assistito ad un progressivo aumento delle disgregazioni familiari, delle separazioni e dei divorzi di coppie con figli. Fare famiglia richiede elevati investimenti, creare una famiglia è fonte di stress e di vulnerabilità; oggi non si può più considerare un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Si sa che i genitori, scegliendo di formare un nucleo familiare, si assumono il dovere di garantire le cure necessarie alla crescita della prole, ma ciò che forse passa in secondo piano è che essi esercitano anche un’enorme influenza sullo sviluppo emozionale ed affettivo dei figli.

Appare evidente che, allo stesso modo così come da adulti ci preoccupiamo di assicurare l’indispensabile e di rispondere ai bisogni dei nostri figli, dobbiamo prendere sul serio le emozioni dei nostri bambini e dei nostri ragazzi.

Le emozioni dei figli coinvolti in una separazione coniugale sono tante e sono in parte l’effetto di un dolore, intimo ed immenso. Talvolta i figli sembrano non avere manifestazioni che si discostino dalla normalità. L’assenza di manifestazioni può far credere che il bambino/ragazzo non si preoccupi di ciò che succede tra i genitori, che la cosa non lo riguardi. Invece i figli sono preoccupati di non capire cosa succede, perché i genitori discutano, chi abbia cominciato. Per gli adulti e i bambini, per tutto il nucleo familiare, la separazione corrisponde ad uno stato di sofferenza profonda, di rottura di un equilibrio, che cambia un assetto e crea disorientamento. Prima di consolare o parlare con i figli, è fondamentale ascoltarli, lasciare che si esprimano. Ma è necessario ascoltarli in tutti i sensi e “con” tutti i sensi, non solo con le orecchie. I bambini vanno prima di tutto guardati, perché spesso il loro sguardo esprime quello che le parole non dicono. Così il loro modo di spostarsi, di muoversi, fa capire cosa davvero provino e pensino.

Quanto dolore può sostenere un bambino senza poterlo esprimere in famiglia, senza poterlo dire nemmeno a se stesso?

Immaginate che il bambino arriva al punto in qui egli non sa più dove sia finita la sua famiglia, la sua casa; anche se ora ne le ha tutte e due, per lui è come se non ne avesse nessuna.

La casa è divisa, diviso è l’amore, divisa è la sicurezza e la famiglia, diviso è lui.

E’ normale che un bambino soffra per la divisione dei genitori, ed è vitale che sia aiutato a sopportarla meglio che può. E’ importante che la sua tristezza trovi un modo per raccontarsi.

La famiglia media cerca di solito di prevenire e risolvere i disturbi e i disagi dei propri figli senza ricorrere all’aiuto del professionista. Infatti, il compito del terapeuta non è quello di sostituire la famiglia funzionante; tuttavia egli può affiancarla, quando la stessa famiglia non può funzionare bene. E’ possibile così trovare un aiuto quando sta per abbattersi sulla casa, sul nucleo familiare, una tempesta che travolgerà tutto e tutti. E nulla, poi, sarà più come prima.

Il ruolo dello specialista è allorta quello di dare sostegno alla genitorialità, con il compito di recuperare le funzioni che sono state messe in ombra dal conflitto. Uno degli obiettivi è cercare nuovi canali di comunicazione e soprattutto ricondurre i genitori ad un pensiero comune sui figli. Nessuno di noi genitori vorrebbe fare deliberatamente qualcosa per mutilare moralmente, spiritualmente ed emotivamente i propri figli, ma talvolta nel conflitto è quello che capita. Spesso, la contesa per l’affidamento dei figli avviene con un accanimento tale, che i coniugi impegnati nella lotta per garantirsi il titolo di buon genitore finiscono per osteggiarsi, non accorgendosi delle conseguenze del loro comportamento sui figli. La conflittualità degli adulti può essere così distruttiva da far sentire il bambino responsabile, con la propria presenza/assenza, della felicità del genitore. La relazione alterata, soprattutto a livello emotivo può dare spazio a incomprensione, atteggiamenti di difesa, competizione e manipolazione. Nei figli c’è confusione e conflitto di lealtà, cioè essi temono che ciò che provano per un genitore possa ferire l’altro. Pensano: “Se io mi diverto con papà, renderò triste la mamma”, come se dovessero scegliere; e loro, che naturalmente vogliono bene ad entrambi i genitori, stanno davvero male.

Molti bambini sono precocemente coinvolti nei problemi di coppia dei loro genitori e ciò dà origine ad ansie, turbamenti e altri problemi. Secondo Packard (1983), per molti bambini crescere significa chiedersi se i propri genitori si separeranno o, se già si sono separati, se dovranno vivere per sempre con un solo genitore. Il momento difficile della crisi coniugale vuole spesso dire che i bambini hanno a che fare con genitori distratti, incentrati sul proprio ruolo nella vita.  Per i bambini vuol dire essere spesso soli e talvolta adattarsi a convivere con un “estraneo”. Quello che risulta essere un periodo difficile e stressante per un adulto, lo è anche e soprattutto per un bambino o per un ragazzo. Oltre una certa soglia, questo accumulo di stress può creare problemi. I figli allora mettono in atto comportamenti regressivi, perdono di autonomia (esempio tornano nel lettone); al contrario, si dimostrano ipermaturi e superautonomi (“non ti preoccupare, d’ora in poi sarò io l’uomo di casa”). Talvolta si allineano in maniera esclusiva ad uno dei due genitori, sviluppando una reazione di repulsione e rispingimento dell’altro. A volte si finisce con l’attribuire al figlio un ruolo che non dovrebbe avere, di partner, di genitore; “…è così sensibile, pensi che è lui che consola me… lei è una bambina forte, non ha mai pianto…”.

I bambini percepiscono il disagio che c’è in famiglia, ma non sempre hanno gli strumenti per comprenderne le cause reali e tendono ad attribuirsene la colpa. La situazione conflittuale, che precede e succede alla separazione, rappresenta un fattore pregiudizievole per la salute psicofisica e relazionale dei figli che, in genere, tendono ad assumere un comportamento strategico-difensivo mostrando, a tratti, una buona capacità di adattamento ed evitando di manifestare la propria sofferenza. In genere, però, questo coperchio messo a coprire la “pentola”, quasi a tapparsi la bocca, fa si che la sofferenza dei bambini si traduca in altri sintomi: fobie, disturbo del sonno, dell’alimentazione o del comportamento; comportamento che cambia, ma di solito fuori casa, spesso a scuola, bambini distratti, che sottraggono il materiale degli altri, che diventano impertinenti e che attuano atteggiamenti di scherno e derisione. Oppure bambini silenziosi, con “la testa altrove”, che piangono per nulla.

E’ noto che i bambini hanno bisogno di stabilità, di riferimenti chiari e facili, hanno bisogno di essere attorniati da persone che gli comunicano calore, la sensazione di essere al centro dei loro pensieri, di contare. Un bambino si sente più forte se può esibire una famiglia forte, unita, “regolare” e che risponda alla sua ricerca di identità, al bisogno di appartenere. Invece, nella separazione,  i problemi e i conflitti si ripercuotono sui minori, che si sentono merce di scambio, si sentono messi al centro di ripicche e contese, si sentono di non appartenere più a nessuno e che niente gli appartenga davvero più. Il senso di perdita genera angoscia. Se al figlio la perdita sembra permanente e definitiva, l’angoscia può arrivare a lasciare il posto alla depressione e alla disperazione.

I figli si sentono soli e tristi, colpevoli (“forse l’ho costretto io ad andarsene”), impotenti (“cosa posso fare io, che sono solo un bambino, per farli tornare insieme?”), indesiderabili; pensano di non meritare niente (“non pensano più a me, non conto niente e non mi vogliono più”). Inizia a crescere progressivamente in loro la paura di perdere un genitore, il senso di impotenza, la gelosia e il conflitto di lealtà, la fantasia di riunificazione. Tutti i figli di separati sperano nel loro intimo che i genitori tornino insieme, lo sperano anche quando hanno quarant’anni, anche quando razionalmente sanno che non sarà possibile, anche quando ammettono che “è meglio di no”.

Non è mia intenzione spiegare ai genitori come debbano comportarsi; possiamo ingolfarci di informazioni su come allevare i figli e cercare di essere buoni genitori, ma niente e nessuno ci risparmierà di commettere inevitabili errori. Questa è la distanza tra “sapere” e “fare”. Si può sbagliare perché vi sono eventi nella vita che possono assorbirci totalmente e proprio quando i figli hanno bisogno di noi non possiamo esserci, per aiutarli.

Solitamente, come Neuropsichiatra infantile, mi capita di intervenire quando il problema è ormai evidente, ma  credo fermamente che nelle situazioni di conflitto familiare il lavoro è un buon lavoro quando ha il compito di prevenzione, di supporto alla famiglia. Il ruolo del Neuropsichiatra infantile, in genere, è quello di occuparsi dello sviluppo affettivo dei bambini/ragazzi e di ciò che dal punto di vista ambientale interferisce con la loro maturazione. Il nostro compito è quello di insistere sul diritto dei minori di essere felici e sul dovere di ogni genitore di aiutarli ad esserlo. Prevenire l’infelicità è possibile, formulando un progetto educativo in cui i genitori condividano uno spazio mentale in cui collocano i propri figli, anche con stili diversi, ma coerenti.

So bene che è difficile legittimare e dare un’immagine buona dell’altro genitore che è stato fonte del proprio dolore, che  ferisce; ma ci si può riuscire, se si riconosce che anche l’altro ha in qualche misura subìto e provato una parte dello stesso dolore. Si può riuscire a trovare un campo neutro, soprattutto se si tiene ben presente che il bambino deve restare il soggetto di cui prendersi cura, sempre e prima di tutto. La coppia decide di mettersi insieme e decide poi di separarsi, il bambino non decide niente; né di avere quei due genitori, né di essere diviso a metà. Non ha scelto lui, non lo vuole, non né ha colpa. Non è possibile restituirgli ciò che c’era prima, ma è possibile riconsegnare ai figli la loro famiglia, trasformata. Se i genitori restano un buon padre e una buona madre offrono tutto ciò che al figlio serve. Se continueranno ad occuparsi di lui condividendo le informazioni, permettendo che continuino a frequentare le famiglie di origine (nonni e zii dell’ex-coniuge), pensando che questo sia un loro diritto, senza rancori, essendo presenti agli impegni che lo riguardano, basterà perché lui torni ad essere sereno. Capisco bene che ciò possa essere faticoso, ma è uno sforzo che va fatto.

Il nostro compito è di trovare una voce che vada oltre le urla, cercando di ritornare sui fatti e dandone una lettura diversa, evitando però di riaprire le ferite. E’ essenziale presentare ai ragazzi le cose con un linguaggio adatto a loro, spiegando ciò che sta succedendo, proteggendoli dai danni dovuti ai silenzi pesanti, perché “non si sa cosa dire, perché non c’è bisogno di spiegare… perché l’hanno capito da soli…”. Spiegare che c’è un problema nella coppia coniugale toglie i figli dalla confusione e dal continuo impegno mentale, per capire cosa succede tra mamma e papà.

Non è necessario spiegare “tutto”, anzi si deve mettere un filtro e lasciare che sappiano solo ciò che serve. Ai figli non servono i dettagli: chi ha deciso la separazione, che sia assegnata  una colpa, che sia trovato un motivo. I figli non possono diventare i confidenti o consiglieri.  Vanno protetti  dagli atteggiamenti che spontaneamente e inconsapevolmente vengono utilizzati per riavvicinarsi al partner, per ristabilire i contatti e mantenere un legame e, quando questo non è possibile, che diventino mezzo di comunicazione alternativo ad email e sms, per sfogare la collera e dare spazio al risentimento.

Meglio intervenire prima, permettendo agli ex coniugi di trovarsi in uno spazio comune “per il bene dei figli”, ma anche per il loro, in un rapporto cambiato nell’assetto e nei sentimenti, nel quale non esista più la “coppia coniugale” ma emerga integra la “coppia genitoriale”.

Lo spazio neutro permette agli ex coniugi di anteporre il loro essere genitori a tutto il resto, permette ai figli di ritornare ad essere la priorità, di recuperare il loro inestimabile valore, di individui impegnati a crescere.

Dott.ssa Cristina Albertini

Neuropsichiatria infantile

 

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