L’adolescenza: vivere non è facile…
Nella vita di una persona il periodo dell’adolescenza corrisponde al momento di maggiori cambiamenti sia esterni sia interni; cambiano soprattutto gli affetti, i sentimenti e le relazioni. Ogni adolescente vorrebbe saltare questa fase di trasformazione e svegliarsi a cose già fatte!
L’adolescenza costituisce l’interruzione di una crescita pacifica, è uno sconvolgimento strutturale come pochi altri. Se il ragazzo mantenesse un equilibrio stabile, sarebbe di per se atipico e anormale. Normale invece è che si comporti in modo incoerente e imprevedibile, amare e odiare i genitori, ribellarsi e dipendere da loro, vergognarsi e apprezzarli, essere generoso e altruista come egocentrico e calcolatore. Queste contraddizioni stanno a significare che una struttura adulta di personalità richiede un tempo per emergere. Ogni fase è premessa di quella dopo, questo significa CRESCERE, accedere a livelli sempre maggiori di difficoltà.
Nel passaggio tra latenza e adolescenza c’è un conflitto tra volontà di crescere e restare bambini.
Sia genitori che figli vanno incontro a perdite di potere, i genitori perdono l’innocenza dei figli, il ragazzo deve difendersi dai legami infantili, a volte con la fuga, a volte con l’indifferenza a volte col rovesciamento dei sentimenti (amore-odio, dipendenza-ribellione, ammirazione-derisione). Mentre il ragazzo vive il mondo adulto come fonte di sicurezza e appoggio, l’adolescente scopre che l’adulto non sa tutto e ne rimane deluso; sente pertanto l’impulso di allontanarsene e di rivolgere la propria affettività verso l’esterno, principalmente verso i coetanei. Eccolo allora credere ciecamente a ciò che dicono “i suoi amici che lo capiscono” e mettere in dubbio quello che dicono i genitori (“cosa volete saperne voi?”). Inizialmente l’adolescente adotterà i valori del gruppo dei pari cui sente di appartenere, che gli permettono di separarsi e individuarsi dalla famiglia; poi, nella maggior parte dei casi, arriverà ad assumere una morale autonoma, indipendente dal contesto esterno. Questo distacco è comunque costruzione del Se sociale, è un atto di coraggio, sostituisce la sicurezza che gli veniva dai genitori e si confronta nel gruppo che è fonte di appartenenza, ma anche di esperienza e apprendimento. Ma in questo distacco non c’è solo libertà, c’è anche sofferenza. Il bisogno di opporsi fortemente è paralizzante quanto un’obbedienza completa, allo stesso tempo è necessario che la sua conflittualità esca e trovi un capro espiatorio al di fuori di lui. Quando contrariamente l’ostilità e l’aggressività sono impiegate internamente, vi è il rischio di assistere a fenomeni depressivi e di autolesionismo. Il dolore dei sentimenti può essere talmente insopportabile da volerlo sostituire con un dolore fisico, più palpabile e comprensibile. Per sfuggire al tumulto interno talvolta c’è il rischio che si concentri solo sul corpo (ipocondria), o che regredisca. In questa fase precipitano le illusioni infantili di vivere una vita eterna. Per l’adolescente accettare di possedere la vita implica che potrebbe giungere in qualsiasi momento la morte. Alcuni ragazzi coscientemente o incoscientemente non lo tollerano e possono mettere in atto condotte di rischio, di sfida alla morte. In questo modo mettono in atto circuiti che riattivano l’onnipotenza, l’invulnerabilità (ecco l’atteggiamento irresponsabile di giuda veloce, azzardata, la litigiosità per un nonnulla che scatena la rissa, la scommessa con il rischio) ma che li possono portare a gravi incidenti.
Tipica di questo periodo è la tendenza al passaggio all’atto, l’impulsività (proprio per evitare di pensare ai motivi del conflitto) e la familiarità con l’idea di morte, com’è frequente la comparsa d’ideazione depressiva.
L’adolescente è in un momento di rinunce e lutti: crollano le illusioni personali e l’immagine dei genitori che diventa meno ideale. Diventa consapevole della distanza tra Io, ciò che è, e Ideale dell’Io, ciò che vorrebbe essere, delle imperfezioni dei genitori.
E’ un passaggio obbligato quindi che si ribelli alle regole e alle tradizioni familiari per trovare di proprie che non è detto si discostino così tanto da quelle d’origine.
Il soggetto deve farsi un’immagine di se adulto, creandosi un’identità che all’inizio prende spunto dalle figure più vicine, il padre, la madre, ma vi possono essere anche identificazioni inconsce. Se l’immagine dell’identità materna o paterna è troppo alta, può essere difficile da raggiungere, può essere difficile pensare di poter assomigliarci, poter diventare come lei/lui. Allo stesso modo se l’immagine del genitore dello stesso sesso è svilita, mancante, debole, un adolescente si discosterà da lui, lo sentirà ancor di più estraneo e vorrà starne lontano.
L’adolescenza è caratterizzata da una crisi d’identificazione, di angoscia verso l’integrità e autenticità del Se, del proprio corpo e proprio sesso: lui sa di esistere ma non sa ancora chi è, chi diventerà.
L’adolescente, infatti, è impegnato in una lotta emotiva urgente, è preoccupato per il tempo presente e non ha abbastanza energia da dedicare alle richieste esterne, ecco che così si spiega la sua difficoltà a essere puntuale, a ricordare gli impegni… il ragazzo mette in scena il problema che è poi il problema di tutti: integrare corpo e mente. Si vede e deve affronta il tema del doppio, il corpo, che non riconosce, lo vive come estraneo e deve farlo proprio (ecco spiegate le ore passate allo specchio!). Ha l’esigenza di essere rappresentato e contenuto nella mente degli altri.
Nell’adolescente i sentimenti di mortificazione e vergogna hanno un posto rilevante. Inadeguatezza, incompetenza, disagio e depressione sono sentimenti presenti.
Difficile ricordare l’atmosfera nella quale l’adolescente vive, proprio perché è così densa di emozioni forti che è necessario per tutti dimenticare un po’. Ma ognuno di noi ha vissuto le angosce, l’euforia, la profonda depressione, i facili entusiasmi, l’estrema disperazione, le appassionate e per contro sterili preoccupazioni filosofiche, le smanie di libertà il senso di solitudine, il sentimento di oppressione dei genitori, le rabbie impotenti o l’odio attivo verso il mondo adulto, le infatuazioni erotiche, le fantasie suicidarie… L’adolescente passa da una posizione emotiva all’altra, o le esprime tutte simultaneamente, o in rapida successione, lasciando poco tempo e spazio all’adulto per recuperare le forze e cambiare il proprio modo di trattarlo in base al bisogno mutato.
Per l’adulto è difficile riassettarsi ma è indispensabile accettare le proiezioni che l’adolescente da’ di Se, occorre prenderlo quando c’è, non lasciarlo sfuggire, altrimenti lo vedrà come un rifiuto. Importante è che il ruolo autorevole del genitore sia flessibile al punto da offrire al ragazzo la possibilità di essere ascoltato e accolto anche nel suo bisogno di differenziarsi e autonomizzarsi; ma che sia anche fermo, in grado di contenere il tumulto dei suoi cambiamenti e conflitti interiori. Dobbiamo essere noi adulti quelli adattabili. La troppa rigidità è vissuta come distanza e come abbandono, in questo caso il ragazzo dà segnali riconoscibili: provocazione, opposizione, demotivazione. E’ necessario spiegare che si agisce nell’interesse reale così non si sentirà scaricato.
Il ragazzo disorientato o inibito nel rapporto con i suoi genitori più facilmente, invece, sarà preda della “pressione del gruppo”, non solo nella moda, nei gusti, negli atteggiamenti, nel linguaggio (il che è perfettamente normale), ma anche nelle scelte ideologiche e nei valori di fondo.
Oggi sembra che la tappa dell’adolescenza sia un po’ dilatata, allungata.
Una delle cause è la difficoltà di “futurarsi”, pensarsi nel futuro, che i ragazzi incontrano oggi durante la formazione dei loro studi. Un tempo durante lo studio, sapere che comunque ci sarebbe stato un lavoro ad attenderli rassicurava gli adolescenti di qualche decennio fa.
Altra causa è l’atteggiamento dei genitori che consapevoli e angosciati da questo cercano di proteggerli, e questo fa si che alcuni ragazzi non si assumano responsabilità, non inizino nemmeno a lottare, ad agire; si fermano nell’inedia, nella passività. Ciò che più impensierisce è la sensazione di vuoto; come se la paura li disorienti talmente tanto da non saper da che parte iniziare, allora non resta che rimanere fermi, sospesi. Si mimetizzano risparmiando forze ed energie, sembrando pigri e irresponsabili. Alcuni sentono di non funzionare bene e hanno atteggiamenti di demotivazione, di ritiro.
Ma non è così, sono sgomenti. Sentono gli adulti vicini ma nello stesso tempo lontani perché impotenti, preoccupati.
Solitamente come medico mi capita di intervenire quando il problema appare evidente nei vari contesti, scuola, casa, ambiente sociale, ed è necessario intervenire. D’altro canto ci sono situazioni di disagio in cui non possiamo intervenire perché non sono portate a nostra conoscenza. Segnali di disagio si manifestano attraverso forme di depressione, disturbi d’ansia e fobie, disturbi psicosomatici e disturbi del sonno o dell’alimentazione.
In questo clima d’incertezza è ancora più difficile essere genitori di adolescenti, è una prova ancor più faticosa ma è doveroso prevenire difficoltà più grandi. E’ necessario definire un compito chiaro e preciso; qualunque sia la meta senza un suo significato perderà valore e non costituirà una sfida. L’obiettivo deve essere misurabile e raggiungibile seppur stimolante, con i ragazzi occorre lavorare con uno sguardo al futuro ma restare sull’immediato. Ci si dovrebbe ricordare di lodare l’adolescente in pubblico e criticarlo in privato e abituarsi a farlo con poche parole, separando l’errore dalla persona, tenendo a mente che attraverso le fasi di rivolta in cui l’adolescente è teso a stupire e ad affermare Se, lentamente allenterà le tensioni e accetterà un confronto fino a ridimensionare il suo giudizio, fino a far tacere i tumulti che lo investono e a stabilire un accomodamento interno necessario a ripartire per una nuova fase di vita in cui non crederà più di poter riorganizzare il mondo ma comincerà a organizzare il suo piccolo mondo, Se.