Come si comportano i bambini tra di loro a scuola.

Come si comportano i bambini tra di loro a scuola.

ll bambino ha bisogno di amici da sempre,ma è nell’età scolare che le relazioni assumono per lui importanza  fondamentale e determinante, tanto da rappresentare un parametro di buon funzionamento e di sviluppo neuropsicologico. La scuola, Materna ed Elementare,mantiene il primato di grande spazio di incontro per stare insieme, in gruppo,tra coetanei. Il tempo della scuola permette di passare dai libri e quaderni  ai segreti, alle coalizioni ma può anche far sperimentare esclusioni e rivalità,ingiustizie e gelosie . E’ anche vero che la scuola rappresenta il banco di prova di ciò che li aspetta nella società,  quindi li prepara ad entrare in contatto con regole, ruoli, funzioni e caratteri, tutto ciò che ci si troverà ad affrontare tutti i giorni nell’ambiente di lavoro. Le relazioni tra compagni di classe sono diverse rispetto a quelle dell’amico del cuore, è un incontro che mette in gioco i suoi sentimenti ma ancor di più la sua identità sociale,il suo posto. Non sempre l’immagine sociale corrisponde all’immagine privata del bambini, ecco che allora i genitori rimangono stupiti di vedere un bambino che a scuola è descritto in modo molto diverso rispetto al bambino che conoscono, “ ma siete sicuri che quello  di cui parlate sia mio figlio?” è una frase che spesso gli insegnanti si sentono ripetere dai genitori ai colloqui. Amico allora come significato di compagno di giochi ma anche come persona simile a me,con cui condividere ciò che non sempre si può condividere con l’adulto.Per di più, a differenza dei propri familiari, l’amico si può scegliere, mentre non si possono cambiare i genitori . Il rapporto con i coetanei, infatti è caratterizzato dalla libertà di scelta, anche se le amicizie sembrano nascere per caso, il legame è condizionato dalle capacità del bambino di conquistare,di far nascere e di coltivare un rapporto. E’ possibile che in qualche circostanza il bambino possa sentirsi tradito nell’amicizia e soffrire, ma egli può superare la delusione e trovare nuovi amici se saprà tenere presente la regola fondamentale dell’amicizia: la libertà.  E’ importante che impari  cosa ci si può aspettare dagli altri, cosa dare agli altri e che riesca ad accettare la possibilità di un rifiuto.La paura del rifiuto, del tradimento ha radici lontane, spesso risale al non sentirsi abbastanza amati, anche se ciò, nel bambino, spesso corrisponde a fantasia e non a realtà, ma ciò nonostante come realtà va gestita. Non tutto però è negativo, i ruoli di solito si alternano e chi viene escluso oggi,domani sarà al centro, sarà il leader, se nel rapporto viene stabilita un’equità, un “io e te valiamo uguale”.Dei rapporti tra compagni poco sanno i genitori,se provano a far domande spesso si sentono rispondere: “niente, non mi ricordo,uffa…” Perché è una cosa loro; anche se  forse è difficile saper domandare,forse ci si ferma per non sentir brutte risposte ed è comprensibile, ma ciò che conta è che quello che non sappiamo può aver un peso e può essere qualcosa che fa soffrire troppo.Molte volte i bambini non raccontano gesti o parole che li feriscono, li umiliano, vanno ben al di là dello scambio di pareri che fa crescere, e in questo spazio i genitori devono entrare.Il coetaneo è anche un modello in cui identificarsi, è più semplice perché più vicina a lui, che va oltre al modello fornito dai genitori,che tra l’altro a loro non basta. Ecco allora i nostri bimbi imitare ammirati e affascinati i bambini che vorrebbero essere,a cui vorrebbero assomigliare, copiare come parlano,come camminano, come si vestono…cosa che abbiamo fatto tutti a tempo debito.
Con il coetaneo ci si può arrabbiare, a volte anche con aggressività, si può prenderlo a pugni o per i capelli, non parlargli più per giorni e giorni. Con il genitore questo non è possibile, con loro non si può entrare in un conflitto così aperto. Con l’amico si possono esprimere sentimenti repressi, a volte negativi: rivalità, gelosia, paura di esclusione, possessività. Ricalcando in parte ciò che succede in famiglia ma senza che ciò rappresenti il pericolo di perdere un affetto, potendo giocare ora l’uno ora l’altro ruolo.Più difficile è il legame di amicizia per i bambini che in qualche modo rappresentano il diverso: il bambino straniero, il portatore d’handicap,l’adottato,il figlio di genitore sigle sia esso figlio di separati,orfano.Verso il bambino con handicap gli altri possono essere impauriti come se la stessa cosa potesse succedere a loro,perché percepiscono di essere ancora una struttura fisica in evoluzione,che muta fisicamente e intellettivamente, così  temono che possa capitare a loro, pensano di potersi trasformare. Così in qualche caso può succedere che mettano in atto atteggiamenti poco solidali, di rifiuto, di indifferenza,di ostilità, spesso per paura e per angoscia, raramente per malanimo.La stessa cosa accade per il bimbo che ha genitori separati o che un genitore non ce l’ha. Il bimbo vede in lui se stesso, la possibilità che possa accadere a lui e questo è naturale, fa parte del processo dell’immedesimazione; ma se non mette in atto l’empatia, il mettersi nei suoi panni, come può reagire ? il bambino o il ragazzo allora si difende, lo allontana, perché così facendo allontana da se quello che teme, ciò che lo getterebbe in un’angoscia profonda che non ha eguali. Perché questo è ciò che può provare il bimbo che sperimenta che il suo romanzo familiare si è dissolto. Deve faticare e sperare di poter comunque continuare a vivere. Cosa può aiutare, al di là della famiglia un bimbo a vivere? I suoi compagni, la scuola, la maestra figura dotata di poteri magici,dispensatrice di magia, ma anche sorgente di incubi cupi, figura di sterminato potere, ma quel che più conta di potere vero. Di conseguenza il tempo che il bambino passa in classe, a scuola è un tempo importante, formativo per la sua mente ma anche per la sua personalità. Personalmente penso che al di là del rendimento, il comportamento rappresenti una parte importante del profilo di un bambino. Parlando con i bambini della loro pagella invece sembra un dato di poco conto, il voto del comportamento sia esso anche otto è un buon voto! Il voto del comportamento, oltre al valore del numero credo abbia invece un gran valore se ben ponderato, se non significativo solo di vivacità, di cattiva attenzione, di descrizione di bambino incline alla chiacchiera. Perciò penso che la valutazione del comportamento debba tener conto della capacità di entrare in una buona relazione amicale, della fatica di mantenere rapporti con tutti, al di là delle preferenze del cuore. Dovrebbe essere significativo del rispetto e dell’attenzione che il bambino nutre per i coetanei e le altre figure di riferimento. Tuttavia benché si tenda a ingigantire i fenomeni conflittuali molto spesso mettendoli sotto la stessa voce, facendo periodicamente un gran parlare  di Bullismo,non possiamo negare che la prevaricazione tra bambini esiste ed è sempre esistita anche nelle scuole di un tempo. Forse ora la prepotenza è presente in maniera più pesante e subdola, forse anche come risultato del clima  generale di violenza attuale. Il momento storico attuale porta noi adulti a parlare a lungo degli effetti della violenza,dell’obbligo di proteggere i bambini dagli effetti di ciò che vedono, che sentono, ma sono discorsi efficaci?Sarebbe un gran passo cercare di evitare che la violenza si infiltri nei loro rapporti. Che i gesti e le parole offensive non attacchino la dignità della persona anche se si tratta di un bambino o di un ragazzo, che non umilino gratuitamente e crudelmente, spingendo chi subisce, in quanto diverso, a sentirsi in colpa per ciò che colpa poi non è. I prevaricatori sono caratterizzati da un lato del carattere che è la mancanza di empatia, dall’impulsività, dall’ incapacità di creare relazioni stabili,anche al di fuori dei coetanei. Si dimostrano indifferenti verso il male che causano o potrebbero causare. Senza nascondere il fatto che anche le bambine sanno essere crudeli ma di norma sanno esserlo con più astuzia. Se un tempo nel gioco tra bambini poteva capitare di sentir dire “tu non giochi perché sei piccolo” oggi è capitato di sentir dire “ tu non giochi perché non hai il papà”… E’ in famiglia, nel rapporto con i genitori che il bimbo costruisce la base per avere fiducia nelle proprie capacità, la sua stima, mentre nel confronto col coetaneo la conferma. E’ il codice della famiglia che diventa il suo codice, per questo il peso delle nostre opinioni, delle nostre parole ha un valore perché delinea ciò che siamo; ma è altresì un seme che mettiamo nei nostri figli e che in loro può crescere prendendo direzioni che potrebbero nuocere prima di tutto a loro stessi. Esistono infatti diversi tipi di bambini:
Il leader alle cui decisioni gli altri sembrano conformarsi.L’intermediario e  il pacificatore. Il gregario, quello cioè che sta a guardare, pronto a seguire. Il capo espiatorio quello che diventa il parafulmine delle tensioni.
Cosa fare? Secondo le ricerche più aggiornate è decisivo l’atteggiamento degli insegnanti, che talvolta può essere sfortunatamente di ostacolo al buon funzionamento della classe o più spesso può rivelarsi elemento di arricchimento per la crescita dei bambini, se così verrà percepito. Non bastano i proclami, le dichiarazioni di principio,ma è necessario far seguire alle parole i comportamenti,perché sono quelli che i bambini capiscono e assorbono. Senza scomodare i discorsi sul razzismo,sul bullismo, dobbiamo pensare che oggi uno dei rischi da tener presente non è la cultura dell’intolleranza o dell’emarginazione,quanto la tendenza a negare la diversità.
Fornire un sostegno educativo adeguato,in modo che i risultati derivanti dal lavoro di squadra,di classe, verso l’anello più debole della catena,producano nei ragazzi un  coinvolgimento emotivo, generino la fiducia e la speranza che supera la paura.Insegnare che il valore è relativo, non assoluto: si può essere in inferiorità e dipendenza e in altre circostanze in situazione di superiorità e autonomia. Che le situazioni difficili possono mettere alla prova ma non distruggere. Non vanno accettate prepotenze. E’ obbligatorio coinvolgere anche quelli che stanno a guardare,che non si schierano. E’ indispensabile vigilare nei momenti di pausa e ricreazione,quelli in cui si dà finalmente spazio alle pulsioni e alle tensioni.
Proprio ieri ho chiesto ad un bimbo di V elementare come si trovasse con i suoi compagni con chi giocasse a scuola, e così parlando mi spiega che, da poco, è arrivato un bambino nuovo, italiano e  che non vorrebbe proprio essere lui perché “tre compagni ( è sempre il gruppo che rende forti)quatti quatti da dietro gli hanno abbassato i pantaloni davanti a tutti, metà dei presenti ha riso, gli altri sono rimasti a guardare. Il bimbo si è arrabbiato molto e più si arrabbiava, più loro tre ridevano.” Sfortuna vuole che “un’insegnante, la più molliccia,ha visto solo lei,  però gli ha solo detto che non dovevano con un tono come se dicesse tira su la carta di caramella, quindi loro è logico che se ne fregano. Ma lui non è niente, l’anno scorso i soliti tre se la prendevano con un bimbo marocchino, tutti i giorni finchè non ha cambiato scuola, e le maestre non vedono mai”….
Certo non ci sono ricette, non sempre sguardo, parola e fiato riescono ad essere dentro la vicenda ma abbiamo tutti delle responsabilità, possiamo sempre avere una seconda opportunità per riparare le noncuranze, i momenti di  distrazione…“Volevo che il Bene trionfasse, lo volevo con tutta la forza di cui ero capace, ma volevo con altrettanta forza che fosse un bene autentico, temprato da tutte le prove possibili. Volevo che le sue mani rifulgessero non perché erano sempre state pulite, bensì perché non aveva temuto di sporcarsele…”

L’adolescenza: vivere non è facile…

L’adolescenza: vivere non è facile…

Nella vita di una persona il periodo dell’adolescenza corrisponde al momento di maggiori cambiamenti sia esterni sia interni; cambiano soprattutto gli affetti, i sentimenti e le relazioni. Ogni adolescente vorrebbe saltare questa fase di trasformazione e svegliarsi a cose già fatte!
L’adolescenza costituisce l’interruzione di una crescita pacifica, è uno sconvolgimento strutturale come pochi altri.  Se il ragazzo mantenesse un equilibrio stabile, sarebbe di per se atipico e anormale. Normale invece è che si comporti in modo incoerente e imprevedibile, amare e odiare i genitori, ribellarsi e dipendere da loro, vergognarsi e apprezzarli, essere generoso e altruista come egocentrico e calcolatore. Queste contraddizioni stanno a significare che una struttura adulta di personalità richiede un tempo per emergere. Ogni fase è premessa di quella dopo, questo significa CRESCERE, accedere a livelli sempre maggiori di difficoltà.
Nel passaggio tra latenza e adolescenza c’è un conflitto tra volontà di crescere e restare bambini.
Sia genitori che figli vanno incontro a perdite di potere, i genitori perdono l’innocenza dei figli, il ragazzo deve difendersi dai legami infantili, a volte con la fuga, a volte con l’indifferenza a volte col rovesciamento dei sentimenti (amore-odio, dipendenza-ribellione, ammirazione-derisione). Mentre il ragazzo vive il mondo adulto come fonte di sicurezza e appoggio, l’adolescente scopre che l’adulto non sa tutto e ne rimane deluso; sente pertanto l’impulso di allontanarsene e di rivolgere la propria affettività verso l’esterno, principalmente verso i coetanei. Eccolo allora credere ciecamente a ciò che dicono “i suoi amici che lo capiscono” e mettere in dubbio quello che dicono i genitori (“cosa volete saperne voi?”). Inizialmente l’adolescente adotterà i valori del gruppo dei pari cui sente di appartenere, che gli permettono di separarsi e individuarsi dalla famiglia; poi, nella maggior parte dei casi, arriverà ad assumere una morale autonoma, indipendente dal contesto esterno. Questo distacco è comunque costruzione del Se sociale, è un atto di coraggio, sostituisce la sicurezza che gli veniva dai genitori e si confronta nel gruppo che è fonte di appartenenza, ma anche di esperienza e apprendimento.  Ma in questo distacco non c’è solo libertà, c’è anche sofferenza. Il bisogno di opporsi fortemente è paralizzante quanto un’obbedienza completa, allo stesso tempo è necessario che la sua conflittualità esca e trovi un capro espiatorio al di fuori di lui. Quando contrariamente l’ostilità e l’aggressività sono impiegate internamente, vi è il rischio di assistere a fenomeni depressivi e di autolesionismo. Il dolore dei sentimenti può essere talmente insopportabile da volerlo sostituire con un dolore fisico, più palpabile e comprensibile.  Per sfuggire al tumulto interno talvolta c’è il rischio che si concentri solo sul corpo (ipocondria), o che regredisca. In questa fase precipitano le illusioni infantili di vivere una vita eterna. Per l’adolescente accettare di possedere la vita implica che potrebbe giungere in qualsiasi momento la morte. Alcuni ragazzi coscientemente o incoscientemente non lo tollerano e possono mettere in atto condotte di rischio, di sfida alla morte. In questo modo mettono in atto circuiti che riattivano l’onnipotenza, l’invulnerabilità (ecco l’atteggiamento irresponsabile di giuda veloce, azzardata, la litigiosità per un nonnulla che scatena la rissa, la scommessa con il rischio) ma che li possono portare a gravi incidenti.
Tipica di questo periodo è la tendenza al passaggio all’atto, l’impulsività (proprio per evitare di pensare ai motivi del conflitto) e la familiarità con l’idea di morte, com’è frequente la comparsa d’ideazione depressiva.
L’adolescente è in un momento di rinunce e lutti: crollano le illusioni personali e l’immagine dei genitori che diventa meno ideale. Diventa consapevole della distanza tra Io, ciò che è, e Ideale dell’Io, ciò che vorrebbe essere, delle imperfezioni dei genitori.

E’ un passaggio obbligato quindi che si ribelli alle regole e alle tradizioni familiari per trovare di proprie che non è detto si discostino così tanto da quelle d’origine.
Il soggetto deve farsi un’immagine di se adulto, creandosi un’identità che all’inizio prende spunto dalle figure più vicine, il padre, la madre, ma vi possono essere anche identificazioni inconsce. Se l’immagine dell’identità materna o paterna è troppo alta, può essere difficile da raggiungere, può essere difficile pensare di poter assomigliarci, poter diventare come lei/lui. Allo stesso modo se l’immagine del genitore dello stesso sesso è svilita, mancante, debole, un adolescente si discosterà da lui, lo sentirà ancor di più estraneo e vorrà starne lontano.
L’adolescenza è caratterizzata da una crisi d’identificazione, di angoscia verso l’integrità e autenticità del Se, del proprio corpo e proprio sesso: lui sa di esistere ma non sa ancora chi è, chi diventerà.
L’adolescente, infatti, è impegnato in una lotta emotiva urgente, è preoccupato per il tempo presente e non ha abbastanza energia da dedicare alle richieste esterne, ecco che così si spiega la sua difficoltà a essere puntuale, a ricordare gli impegni… il ragazzo mette in scena il problema che è poi il problema di tutti: integrare corpo e mente. Si vede e deve affronta il tema del doppio, il corpo, che non riconosce, lo vive come estraneo e deve farlo proprio (ecco spiegate le ore passate allo specchio!). Ha l’esigenza di essere rappresentato e contenuto nella mente degli altri.
Nell’adolescente i sentimenti di mortificazione e vergogna hanno un posto rilevante. Inadeguatezza, incompetenza, disagio e depressione sono sentimenti presenti.
Difficile ricordare l’atmosfera nella quale l’adolescente vive, proprio perché è così densa di emozioni forti che è necessario per tutti dimenticare un po’. Ma ognuno di noi ha vissuto le angosce, l’euforia, la profonda depressione, i facili entusiasmi, l’estrema disperazione, le appassionate e per contro sterili preoccupazioni filosofiche, le smanie di libertà il senso di solitudine, il sentimento di oppressione dei genitori, le rabbie impotenti o l’odio attivo verso il mondo adulto, le infatuazioni erotiche, le fantasie suicidarie… L’adolescente passa da una posizione emotiva all’altra, o le esprime tutte simultaneamente, o in rapida successione, lasciando poco tempo e spazio all’adulto per recuperare le forze e cambiare il proprio modo di trattarlo in base al bisogno mutato.
Per l’adulto è difficile riassettarsi ma è indispensabile accettare le proiezioni che l’adolescente da’ di Se, occorre prenderlo quando c’è, non lasciarlo sfuggire, altrimenti lo vedrà come un rifiuto. Importante è che il ruolo autorevole del genitore sia flessibile al punto da offrire al ragazzo la possibilità di essere ascoltato e accolto anche nel suo bisogno di differenziarsi e autonomizzarsi; ma che sia anche fermo, in grado di contenere il tumulto dei suoi cambiamenti e conflitti interiori. Dobbiamo essere noi adulti quelli adattabili. La troppa rigidità è vissuta come distanza e come abbandono, in questo caso il ragazzo dà segnali riconoscibili: provocazione, opposizione, demotivazione. E’ necessario spiegare che si agisce nell’interesse reale così non si sentirà scaricato.
Il ragazzo disorientato o inibito nel rapporto con i suoi genitori più facilmente, invece, sarà preda della “pressione del gruppo”, non solo nella moda, nei gusti, negli atteggiamenti, nel linguaggio (il che è perfettamente normale), ma anche nelle scelte ideologiche e nei valori di fondo.
Oggi sembra che la tappa dell’adolescenza sia un po’ dilatata, allungata.
Una delle cause è la difficoltà di “futurarsi”, pensarsi nel futuro, che i ragazzi incontrano oggi durante la formazione dei loro studi. Un tempo durante lo studio, sapere che comunque ci sarebbe stato un lavoro ad attenderli rassicurava gli adolescenti di qualche decennio fa.
Altra causa è l’atteggiamento dei genitori che consapevoli e angosciati da questo cercano di proteggerli, e questo fa si che alcuni ragazzi non si assumano responsabilità, non inizino nemmeno a lottare, ad agire; si fermano nell’inedia, nella passività. Ciò che più impensierisce è la sensazione di vuoto; come se la paura li disorienti talmente tanto da non saper da che parte iniziare, allora non resta che rimanere fermi, sospesi. Si mimetizzano risparmiando forze ed energie, sembrando pigri e irresponsabili. Alcuni sentono di non funzionare bene e hanno atteggiamenti di demotivazione, di ritiro.
Ma non è così, sono sgomenti. Sentono gli adulti vicini ma nello stesso tempo lontani perché impotenti, preoccupati.
Solitamente come medico mi capita di intervenire quando il problema appare evidente nei vari contesti, scuola, casa, ambiente sociale, ed è necessario intervenire.  D’altro canto ci sono situazioni di disagio in cui non possiamo intervenire perché non sono portate a nostra conoscenza. Segnali di disagio si manifestano attraverso forme di depressione, disturbi d’ansia e fobie, disturbi psicosomatici e disturbi del sonno o dell’alimentazione.
In questo clima d’incertezza è ancora più difficile essere genitori di adolescenti, è una prova ancor più faticosa ma è doveroso prevenire difficoltà più grandi. E’ necessario definire un compito chiaro e preciso; qualunque sia la meta senza un suo significato perderà valore e non costituirà una sfida. L’obiettivo deve essere misurabile e raggiungibile seppur stimolante, con i ragazzi occorre lavorare con uno sguardo al futuro ma restare sull’immediato. Ci si dovrebbe ricordare di lodare l’adolescente in pubblico e criticarlo in privato e abituarsi a farlo con poche parole, separando l’errore dalla persona, tenendo a mente che attraverso le fasi di rivolta in cui l’adolescente è teso a stupire e ad affermare Se, lentamente allenterà le tensioni e accetterà un confronto fino a ridimensionare il suo giudizio, fino a far tacere i tumulti che lo investono e a stabilire un accomodamento interno necessario a ripartire per una nuova fase di vita in cui non crederà più di poter riorganizzare il mondo ma comincerà a organizzare il suo piccolo mondo, Se.

Disturbi del ritmo sonno veglia.

Disturbi del ritmo sonno veglia.

I disturbi del ritmo sonno veglia rappresentano per il Neuropsichiatra Infantile uno dei motivi più frequenti di richiesta di visita sia che si tratti di un neonato che di un bambino di età scolare. Solitamente il disturbo del sonno preoccupa sempre i genitori quando la quantità del sonno è in difetto, quasi mai preoccupa quando esso è in eccesso…
Infatti, spesso i neo genitori dei piccoli neonati telefonano allarmati e sfiniti quando, presi tra poppate e colichette, non riescono a chiudere occhio di notte e a godere essi stessi di un sonno ristoratore. Le mamme a questo punto sono preoccupate che il loro infante abbia qualcosa che non va, preoccupate di non riuscire a capirlo nei suoi bisogni e rischiano di cadere in una spirale di ansia, angoscia e panico che le conduce in uno stato di prostrazione, di stanchezza che qualche volta rischia di rinforzare quel periodo fisiologico di fragilità conosciuto con il nome di “ depressione post partum”.
Il sonno come l’alimentazione rappresenta uno dei canali di comunicazione di disagio del bambino, ma esso rappresenta anche un grande piacere, qualcosa che fa star bene. Si dice infatti: ”Dorme come un angelo”, come a dare del buon sonno il significato di qualcosa di celestiale, ultraterreno.
Spesso si ritiene, a torto, che un bimbo debba necessariamente solo mangiare e dormire. Tra genitori si dà ascolto all’esperienza degli altri, ci si confronta e sembra sempre che tutti gli altri bambini dormano senza problemi, tutti tranne il proprio. Per questo è facile che si faccia strada, nella testa di alcuni, l’idea che nel proprio bambino ci sia qualcosa che non va o il dubbio di essere genitori che sbagliano qualcosa. Invece non è poi così naturale che tutto fili liscio.
In realtà esiste uno spazio di tempo necessario affinché il bambino sia in grado di raggiungere un certo grado di autoregolazione. Non è sempre semplice la comunicazione con una creatura di pochi giorni, non è facile cogliere i suoi segnali, soprattutto se si è inesperti e alle prime armi, è concesso sbagliare se serve poi a far meglio.
Primo passo è di escludere che alla base del disturbo del sonno ci sia una patologia neurologica, un problema fisico (es. fame, reflusso gastroesofageo), un problema ambientale (es. freddo, caldo, luce, rumore).
Molto spesso mi si chiede se sono favorevole a metodi spiegati in un famoso libro che tratta di come far dormire i bambini… personalmente penso che non sia mai un bene generalizzare penso che non si possa pensare che i bambini siano pronti allo stesso modo nello stesso momento, penso che una cosa possa andar bene a uno e non bene a un altro. Per qualche bambino è possibile, per altri no, per qualche genitore è possibile per altri no. Non è detto che chi non ci riesce sia meno bravo e più debole di chi ce la fa.
Non tutti hanno la stessa capacità di tollerare il pianto, la protesta del bambino. Il distacco per lui può significare solitudine, separazione ed esclusione ma non c’è nulla di anomalo, si tratta di sentimenti ed emozioni inevitabili nello sviluppo evolutivo del bambino, sono “prove” da affrontare e da superare a poco a poco per poter crescere.
La vita di fatto inizia con una perdita, un distacco. Durante la vita intrauterina non c’è separazione, si è sempre insieme, c’è fusione. Fino alla nascita è probabile che vostro figlio vi conosca meglio di quanto voi conosciate lui. Fino a quando è nella pancia, lui è intento a mangiare, dormire e sentire. Sente il cuore della mamma, le voci, i suoi movimenti, i suoi gusti e i sapori, le sue emozioni. Tanto è che molte mamme rimpiangono la gravidanza, la pancia, perché era un momento in cui non si sentivano mai sole, “ sì alla fine ero stanca, mi pesava, ma poi che tristezza scoprire che la pancia non c’era più”…
Una volta fuori dall’utero il bambino sperimenta la gratificante illusione che sia lui che la sua mamma dividono gli stessi confini. La sua mamma si frappone tra lui e il mondo proteggendolo dall’angoscia sovrastante. I bambini hanno bisogno della sua continua presenza, perché non tollerano la separatezza fisica e psichica.
E’ complicato diventare una persona a se stante. Come dice uno scrittore che apprezzo molto “ essere in due comincia dalle madri”. Difficile trovarsi da soli sulle proprie gambe e avanzare barcollando, sarebbe più comodo rimanere tra le braccia materne. Quando ci si riesce, però la perdita è controbilanciata dal guadagno delle esperienze fatte allontanandosi.
Ma se questo avviene troppo presto, al momento sbagliato il costo della separazione può essere troppo alto.
I bambini hanno antenne acutissime si sa, assorbono come spugne il clima familiare, l’energia e la gioia del loro arrivo li rinforzano ma essi assimilano anche le ansie e le tensioni dell’atmosfera familiare intossicandosi. Assumono i carichi di sollecitazioni esterne legate a eccitazioni e nervosismo. Tutto può interferire col ritmo sonno veglia, i cambiamenti delle abitudini e dei ritmi variazioni che richiedono un tempo di adattamento più o meno lungo. Tra i cambiamenti influiscono anche gli apprendimenti stessi del bambino, l’inserimento al Nido o alla Materna, le vacanze, un trasloco, l’arrivo di nuove nascite, le separazioni, i conflitti, un licenziamento, un lutto.
I piccoli, infatti, risentono anche di situazioni che fanno parte dell’esistenza, circostanze imprevedibili che possono portare con sé distrazione, allontanamento e distacco, ad avere la testa altrove. Ciò può rendere difficile assicurare il nutrimento affettivo necessario ai bambini, la mancanza di nutrimento emotivo è poi come dormire con la pancia vuota…molto penoso.
Quindi perché mai rinunciare per perdere il controllo e sprofondare nell’oblio?
Il sonno è un momento di vita molto importante. E’ la fase che contribuisce allo sviluppo del pensiero, fase in cui il bambino si può distogliere dalle sollecitazioni del mondo esterno, rientrare in se stesso. Egli dormirà meglio più la veglia si sarà svolta in un clima sereno, stimolante ma non troppo stancante.
Il bimbo nelle fasi di addormentamento in realtà vuole essere lasciato tranquillo per poter appisolarsi, ha bisogno di tranquillità, in un certo senso ha bisogno di ritiro, come avrà bisogno di poter giocare da solo. Il Sonno ha valore di separazione e distacco dai genitori ma anche dai giochi, dall’esterno che sta scoprendo.
Anche da neonato, infatti, inizia a farlo, quando sembra, bastarsi da solo, inizia a comunicare tra se e se, facendo i conti con le immagini, i ricordi e i desideri che prendono una forma sempre meno confusa. Sperimentando l’unicità ci concede una tregua dalla solitudine della separatezza.
Non è detto che tutto fili liscio, certamente ci saranno momenti in cui il bimbo si sentirà abbandonato e userà il pianto come richiamo ai suoi bisogni.
Ciò che si deve fare è aiutarlo e consolarlo perché si sente solo, ha paura, ma resistere e non portarlo con sé nel lettone, (sebbene sia da considerarsi fino a che punto, questo vada a vantaggio del bambino e quanto della coppia… molto spesso alcune richieste arrivano anche da mamme di bambini dai sei ai dodici anni che non riescono più a gestire un figlio, talvolta anche due, che s’infila nel lettone) altrimenti ciò assumerà valore di soluzione magica a ogni forma di disagio.
Unica cosa è consolarlo di notte e tenerlo vicino di giorno, parlargli, giocare con lui. Anche se crollano, tendono a rimandare, i più grandi a contrattare.
• Perché sanno che mentre loro dormono la vita continua e loro vorrebbero partecipare!
• Per paura dell’abbandono, che dormendo tutto venga meno. Vivono l’angoscia profonda e radicata di non ritrovare più nulla, soprattutto nella fase dei conflitti, delle rivalità e dei castighi.
• Se c’è poco tempo per lui dopo il rientro dal lavoro rivendica il mal tolto, “la fa pagare”.
Compito dei genitori è gestire la regressione in modo che essa sia accettata e aspettata.
Il consiglio è di facilitare il passaggio al sonno con l’utilizzo di rituali che si cambiano quando hanno esaurito la loro funzione, buio-luce, silenzio-carillon, peluche, storia, ninnananna. Rituali ripetitivi e quindi rassicuranti per lui perché può controllarli e quindi, come controlla quello, pensa di controllare il resto, altro da Se.
E’ necessario agire con passaggi graduali, poco importa se vi saranno intoppi, anche l’eccezione che conferma la regola è importante basta che vi sia coerenza tra i due genitori.
Tra le difficoltà del ritmo sonno-veglia nel 1° anno d’età le più frequenti si manifestano con insonnia agitata e calma, opposizione. Nel 2°-3° anno con fobie per andare a letto, atteggiamenti di opposizione e provocazione.
Tra le condotte patologiche vi sono il sonnambulismo, gli automatismi motori, le angosce notturne: il “pavor notturno” caratterizzato da risveglio ansioso, occhi sbarrati, il bambino urla e non riconosce chi accorre, lo respinge.
Tra i rituali la ninna-nanna ha mantenuto inalterata nel tempo la sua funzione. Unisce l’effetto calmante della voce, del tatto, permette “l’incantamento”, ha quasi un effetto ipnotico! La ninna-nanna, patrimonio culturale di ogni popolo, permette inoltre alla mamma di riposare anch’essa per poter poi dedicarsi a ciò che deve ancora finire di fare, ma soprattutto le permette di finire la giornata del proprio bimbo prospettando un domani positivo, augurandogli solo cose belle, solo sogni d’oro.

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